Assange, oggi a Londra il processo sulla richiesta di estradizione dagli Usa

La sentenza arriverà tra diversi mesi. Tante le polemiche e le proteste

È iniziato oggi, lunedì 24 febbraio, davanti alla Woolwich Crown Court, alla periferia di Londra, il processo di primo grado sulla richiesta di estradizione negli USA di Julian Assange. Una vicenda che va avanti dal 2010: da allora il fondatore di Wikileaks – 48 anni, australiano – è nelle mire di Washington per aver pubblicato un numero importante di documenti riservati imbarazzanti per le forze armate e la diplomazia americane. A cominciare da quelli sottratti dagli archivi del Pentagono dalla whistleblower Chelsea Manning.


Per il momento sono previste 5 udienze e l’iter giudiziario in Gran Bretagna durerà per diversi mesi: fino al 28 febbraio con conclusione prevista a maggio. Alla fine ci sarà una sentenza appellabile, mentre la sentenza definitiva è attesa per la fine dell’anno.


In aula

Julian Assange, 48 anni, australiano, è in aula: di fronte alla giudice Vanessa Baraitser è apparso vestito di grigio. Tanti i sostenitori, fuori e dentro il tribunale, incluso suo padre, John Shipton. La giornata di oggi è riservata all’introduzione dell’avvocato John Lewis, che rappresenta le autorità Usa, chiamato a esporre le “ragioni” della richiesta di estradizione. Il governo conservatore di Londra ha già fatto sapere di essere pronto a consegnare il fondatore di Wikileaks a Washington, malgrado le proteste e e le denunce, ma ha bisogno del visto giudiziario.

In carcere

L’attivista è stato arrestato nel 2019 in seguito alla revoca dell’asilo di cui aveva goduto per più di 6 anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Ha finito di scontare la sua pena ma resterà detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, per aver violato nel 2012 i termini della cauzione quando era sotto inchiesta per un’accusa di violenza sessuale avanzata contro di lui in Svezia e poi archiviata.

Alcuni lo definiscono un hacker e sospettano di rapporti poco trasparenti con la Russia. Altri – attivisti ma anche dai vertici dell’opposizione laburista inglese – lo vedono come un perseguitato politico e un paladino della libertà di informazione. Contro l’estradizione si sono pronunciati in una petizione oltre 1000 giornalisti di tutto il mondo, Amnesty International e una commissione di esperti Onu dei diritti umani che ne ha denunciato la detenzione protratta di Assange come una forma di “tortura”.

Dalla sua anche alcuni deputati australiani, vari artisti e 117 medici firmatari di un appello pubblicato dal prestigioso Lancet in cui si sottolineano le sue allarmanti condizioni fisiche e psicologiche; mentre il padre, da Londra, ha definito l’eventuale decisione di consegna del figlio agli Stati Uniti come una “condanna a morte” di fatto.

E fanno discutere in questi giorni le parole di un avvocato di Assange che parlano di un presunto baratto che Donald Trump avrebbe offerto all’attivista: la grazia in cambio di una smentita dei sospetti sul cosiddetto Russiagate. La Casa Bianca ha negato, ma il tema resta altamente sensibile.

In copertina EPA/NEIL HALL | Supporter del fondatore di Wikileaks Julian Assange di fronte alla Woolwich Crown Court di Londra, Regno Unito, 24 febbraio 2020

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