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Coronavirus, Lopalco sulla Fase 2: «Non basta considerare il rischio contagio». Riaperture solo con più tamponi e sorveglianza

Per il docente occorre non soltanto potenziare la rete di raccolta di informazioni, pensando a corsie alternative, come i pediatri di famiglia, ma anche analizzare con maggiore attenzione "i buchi" nell'attuale raccolta di dati

L’epidemia di Coronavirus in Italia, come altrove, è stata accompagnata da una profusione di dati e statistiche di ogni tipo. Ma di quali indicatori bisogna tenere conto per tenere sotto controllo l’epidemia durante la Fase due? Secondo Pierluigi Lopalco docente di Igiene all’università di Pisa e coordinatore della task force sanitaria della Regione Puglia, non basta tenere conto della velocità di trasmissione dei casi Covid o del numero totale dei nuovi contagi.

Intervenendo sul portale Medical Facts del virologo Roberto Burioni, , Lopalco sostiene che non c’è da fidarsi del valore di R0, che indica quante persone infetta un paziente positivo al nuovo Coronavirus, né tanto meno del numero di casi che tende a zero, visto le lacune più volte evidenziate nei dati ufficiali che non tengono conto, per esempio, delle persone morte di Covid a cui non è stato fatto un tampone.

I parametri da seguire

Sono almeno 4-5 i parametri chiave da seguire, secondo Lopalco. Innanzitutto occorre capire quanti tamponi per 1.000 abitanti si riesce a fare in una settimana, qual è la quota di casi di Covid-19 registrati dal sistema di sorveglianza di cui però non si conosce l’origine e quanti casi giungono alla segnalazione per la prima volta come “casi gravi”. Soltanto così si potrà avere un’idea chiara e attendibile dell’efficacia della macchina di sorveglianza sanitaria che ci dovrebbe permettere di tenere l’epidemia sotto controllo.

In più, fatti i tamponi bisognerà stabilire quanti risultano positivi e quanti focolai di trasmissione (catene di contagio) sono ancora aperti. Inoltre, servirebbe capire anche se ci sono sistemi alternativi di sorveglianza, per esempio «di sorveglianza di “tosse e febbre” diffusa sul territorio attraverso pediatri di famiglia e medici di medicina generale», ipotizza Lopalco, o «un sistema di allerta che in tutti gli ospedali del territorio sia in grado si segnalare un eccesso di ricoveri di malattia respiratoria acuta grave».

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