Coronavirus, se l’emergenza sanitaria mette a rischio il diritto all’aborto. La denuncia delle associazioni

Secondo una circolare del ministero della Salute di fine marzo, le interruzioni volontarie di gravidanza rientrano tra le prestazioni non differibili. Ma le difficoltà aumentano e il movimento Provita ha lanciato una petizione per vietare gli aborti durante il Covid

L’enorme pressione della pandemia di Coronavirus sul sistema sanitario nazionale ha reso sempre più difficile l’assistenza di categorie di pazienti con altre problematiche rispetto al Covid. Come denunciano diverse associazioni, è anche il caso di donne che in queste settimane di lockdown hanno tentato di abortire, incontrando però mille difficoltà. Eppure, secondo una circolare del ministero della Salute emessa il 30 marzo 2020, le interruzioni volontarie di gravidanza sono presenti nell’elenco delle prestazioni in ambito ostetrico e ginecologico che non sono differibili, ovvero che non possono essere rimandate a causa dell’epidemia di Coronavirus.


La denuncia delle associazioni

In primis, è sempre più difficile trovare una struttura sanitaria a cui rivolgersi. Secondo Federica di Martino, una delle coordinatrici del progetto Ivg, ho abortito e sto benissimo, in molti ospedali gli aborti sono stati sospesi o trasferiti in altri centri sanitari a causa dell’emergenza, complicando ulteriormente una procedura che in molti casi è già resa complicata dall’alto numero di obiettori di coscienza tra i ginecologi in Italia (si stima che circa il 70% lo sia). Alla riconversione di alcuni reparti ospedalieri in reparti Covid, si somma anche la sospensione dei consultori e la difficoltà a cui vanno incontro alcune donne nel reperire informazioni precise su dove rivolgersi per effettuare l’interruzione della gravidanza. «Se prima ricevevamo una chiamata alla settimana, ora ce ne arrivano almeno sei, sette al giorno», racconta a CovidItaliaNews Eleonora Mizzoni, responsabile delle chiamate d’emergenza per Obiezione Respinta.


Per ovviare a questo problema, le due associazioni hanno creato un canale su Telegram per fornire informazioni aggiornate sugli ospedali ai quali possono rivolgersi le donne che ne hanno bisogno. Ma il loro appello va oltre: l’obiettivo è quello di fare in modo che anche in Italia le donne non debbano essere ricoverate in ospedale per praticare l’aborto farmacologico, vista anche la situazione critica delle strutture sanitarie e la spinta verso la telemedicina durante l’emergenza Covid. Pertanto, insieme alla rete femminista Non una di meno, le due associazioni chiedono alle istituzioni di favorire l’aborto farmacologico tramite la pillola Ru486 anche nei consultori, non solo negli ospedali quindi, e di intervenire anche sulla tempistica, resa critica dall’attuale emergenza, eliminando la settimana di riflessione prevista per legge e allungando la possibilità di abortire da sette a nove settimane, come negli altri paesi europei.

“Buonasera, avete informazioni su Napoli? sono alla settima settimana, ho passato l’ultimo giorno utile prima del decreto che ci ha bloccati a casa, a tentare di contattare telefonicamente, invano, consultori e ospedali. Il giorno dopo sarei dovuta andare di persona, ma non è più stato possibile. Gli unici che mi hanno risposto, oggi […] non hanno più il reparto ginecologia…”

– Testimonianza giunta a Ivg, ho abortito e sto benissimo da Napoli

Rimane comunque il rischio di una recrudescenza negli aborti clandestini. «Molto muove la paura che è quella di non poter accedere al servizio, quindi a volte ci è capitato che ci abbiano scritto delle donne chiedendoci se era possibile ordinare dei kit o trovare delle modalità alternative», spiega a Open Federica di Martino, del progetto Ivg, ho abortito e sto benissimo. «Quello che abbiamo sempre fatto è stato contattare gli ospedali e i consultori per agevolare il processo. Ma questo tipo di segnalazioni ci arrivano tendenzialmente nella fase della paura».

La mobilitazione di Provita e Famiglia

Nel frattempo, in Italia, associazioni anti-aborto come ProVita e Famiglia si sono rivolte al ministero della Salute per chiedere la sospensione dell’aborto negli ospedali, in quanto considerata da loro un’operazione chirurgica non indispensabile. La petizione, che al 20 aprile ha raccolto più di 47mila firme, ne fa una questione di principio: «La scelta di non interrompere le pratiche di aborto […] ci sembra una vera e propria ipocrisia, nel momento in cui sono tantissimi gli appelli a fare ognuno la propria parte per ridurre il numero di contagi e quindi di morti, così come moltissime sono le raccolte di fondi proprio per tentare di salvare più vite possibile. Le vite, però, sono – o dovrebbero essere – tutte uguali e tutte, quindi, dovrebbero essere salvate, tanto quelle degli anziani e dei malati di Coronavirus, quanto quelle dei piccoli nel grembo materno».

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