Turchia, è morto dopo 323 di digiuno il terzo membro dei Grup Yorum, Ibrahim Gökçek, bassista simbolo dei diritti degli oppressi

«La battaglia che si sta consumando nel mio corpo si concluderà con la morte? Oppure con la vittoria della vita? Quel che so è che, finché non accetteranno le nostre rivendicazioni, mi aggrapperò alla vita anche in questo cammino verso la morte»

Aveva interrotto lo sciopero della fame fino alla notizia della morte, il death fast, lo scorso mercoledì. Dopo 323 giorni di protesta per rivendicare il diritto alla libertà di espressione, il governo turco aveva mostrato un’apertura sulla possibilità del Grup Yorum di tornare a fare concerti nel Paese. Ma le condizioni di Ibrahim Gökçek, sceso sotto i 40 chili, ormai erano troppo compromesse: il 7 maggio, è morto il bassista che, da 15 anni, suonava nella band di musica popolare.


Sua moglie, Sultan, si trova ancora rinchiusa nella città-prigione di Silviri, dove nel 2008 fu costruito il più grande carcere del continente europeo: non ha potuto dare l’ultimo saluto a Ibrahim. Il bassista si aggiunge all’elenco delle vittime del collettivo musicale: Helin, cantante di 28 anni, era morta il 3 aprile. Il chitarrista, anche lui 28enne, si è spento nel carcere di Sakran il 24 del mese scorso.


Delle quattro richieste della band al governo per l’interruzione del digiuno fino alla morte, solo quella relativa all’interdizione dei concerti è stata accolta. Grup Yorum lotta ancora per la liberazione dei membri della band e l’archiviazione dei processi, per la fine delle incursioni della polizia nel centro culturale di İdil a Okmeydanı, Istanbul, perquisito più di dieci volte in 2 anni e per la cancellazione dalle “liste dei terroristi ricercati” del ministero dell’Interno dei membri e dei sostenitori del Grup Yorum.

Dieci giorni prima della sua morte, il giornale francese l’Humanité ha pubblicato l’ultima lettera di Ibrahim. Il bassista, ormai idolo internazionale dei diritti degli oppressi, scriveva con le ultime energie rimaste:

Dalla mia camera da letto, in una delle baraccopoli di Istanbul, guardo fuori dalla finestra il giardino. Uscendo, potevo vedere il Bosforo di Istanbul un po’ più lontano. Ma ora sono a letto e peso solo 40 chili. Le gambe non hanno più la forza di trasportare il mio corpo. Al momento, posso solo immaginare il Bosforo.

Sono sul palco, con la cinghia del basso attaccata al collo, quella con le stelle che mi piace di più. Di fronte a me, centinaia di migliaia di persone, con i pugni alzati, cantano “Bella Ciao”. La mia mano batte le corde del basso come se fosse il migliore del mondo. Le gambe sono forti. Potrei fare avanti e indietro da Istanbul. Queste due affermazioni sono reali. Entrambe sono mie, sono la nostra realtà.

Perché vivo in Turchia e faccio parte di un gruppo che produce musica politica. E così, la mia storia rappresenta la grande storia del mio Paese. Oggi sono passati 310 giorni – 316 alla data di pubblicazione della lettera – da quando non mangio. Diciamo che “mi esprimo per fame” o che “mi hanno tolto il basso e per esprimermi uso il mio corpo come strumento“.

Mi chiamo Ibrahim Gökçek. Per 15 anni ho suonato il basso nel Grup Yorum. Il Grup Yorum, creato 35 anni fa da 4 studenti, ha una storia complicata come quella della Turchia. Questa storia ci ha portato a uno sciopero della fame fino alla morte per poter fare di nuovo concerti. Una di noi, la mia cara compagna Helin Bölek, è morta il 3 aprile, il 288° giorno di digiuno fino alla morte. Sono io che ho raccolto il suo testimone.

Forse vi chiederete “Perché i membri di un gruppo musicale fanno uno sciopero della fame fino alla morte? Perché scelgono un mezzo di lotta tanto spaventoso come il digiuno illimitato?”. La nostra risposta è nella realtà bruciante che ha portato Helin a sacrificare la vita a 28 anni e che mi spinge a dissolvermi ogni giorno di più: siamo nati nelle lotte per i diritti e le libertà iniziate in Turchia dal 1980.

Da allora abbiamo pubblicato 23 album per riunire cultura popolare e pensiero socialista. 23 album venduti in totale per oltre 2 milioni di copie. Abbiamo cantato i diritti degli oppressi in Anatolia e in tutto il mondo. Tutto ciò che vivevano coloro che combattevano per i loro diritti, gli oppositori, coloro che sognavano un paese libero e democratico. Anche noi che cantavamo le loro canzoni, vivevamo le stesse cose: eravamo guardati a vista, imprigionati, i nostri concerti erano proibiti, la polizia ha invaso il nostro centro culturale e fracassato i nostri strumenti.

E per la prima volta con l’Akp al governo della Turchia, siamo stati inseriti nella lista dei “ricercati terroristi”. Questo è il motivo per cui ho deciso, anche se vi sembrerà folle, di smettere di mangiare. Perché, nonostante la qualifica che mi è stata data, non mi sento assolutamente un terrorista.

Il motivo per cui siamo stati inseriti in questo “elenco terroristico” è il seguente: nelle nostre canzoni parliamo di minatori costretti a lavorare sottoterra, di lavoratori morti a causa degli incidenti sul lavoro, di rivoluzionari uccisi sotto tortura, di abitanti dei villaggi il cui ambiente naturale viene distrutto, di intellettuali bruciati, di case distrutte nei quartieri popolari, dell’oppressione del popolo curdo e di quelli che resistono. Parlare di tutto ciò in Turchia è considerato “terrorismo”.

Coloro che da 30 anni pensano che non è più tempo di socialismo internazionalista e che un’arte come la nostra non abbia pubblico si sbagliano. Abbiamo tenuto concerti che hanno raccolto il pubblico più vasto nella storia della Turchia e ospitato artisti provenienti anche da fuori Paese. Nello stadio Inönü di Istanbul, 55.000 spettatori hanno cantato all’unisono canzoni rivoluzionarie. Dal palco ho accompagnato con la chitarra un coro straordinario formato da 55.000 persone.

Durante l’ultimo dei nostri concerti dal titolo “Turchia indipendente”, con ingresso gratuito, c’erano quasi un milione di persone. Per 4 anni consecutivi, abbiamo invitato progressisti e artisti dalla Turchia sul nostro palco. In uno dei nostri concerti, Joan Baez è salita sul palco con una delle chitarre che la polizia ha distrutto nel nostro centro culturale. Da sempre il Grup Yorum è stato vittima della repressione in Turchia.

Ma dopo la proclamazione dello stato di emergenza dichiarato dall’Akp nel 2016 e la crescente repressione di tutte le categorie, giornalisti, progressisti, accademici, abbiamo capito che ci aspettava una repressione ancora più feroce. Una mattina, al risveglio, abbiamo scoperto che sei di noi erano stati inseriti nella “lista dei terroristi”. Il mio nome era in questo elenco. Un chitarrista che 5 anni fa aveva partecipato a un concerto che aveva raccolto un milione di spettatori era diventato un terrorista ricercato e sulla sua testa era stata posta una taglia.

L’Akp al governo, ad ogni crisi, intensifica le sue aggressioni e reprime fasce sempre più numerose della popolazione. Dopo la pubblicazione di questo elenco, in due anni e mezzo, il nostro centro culturale ha subito oltre dieci attacchi dalla polizia. Quasi tutti i nostri membri sono stati imprigionati e si è arrivati al punto che non ci sono più membri del Grup Yorum. Siamo stati obbligati ad assumere nuovi musicisti per continuare a esibirci nei concerti. Abbiamo dovuto organizzare concerti con i giovani dei nostri cori popolari.

Allo stesso tempo, per contrastare gli attacchi, abbiamo rilasciato comunicati stampa e petizioni. Ma tutto ciò non ha fermato la repressione. Nel febbraio 2019, durante una riunione nel nostro centro culturale, sono stato arrestato e nel maggio 2019, abbiamo iniziato lo sciopero della fame per “far revocare il divieto dei nostri concerti, fermare le aggressioni al nostro centro culturale, per fare rilasciare tutti i membri incarcerati del nostro gruppo e cancellare i processi avviati contro di loro e perché venissero cancellati i nostri nomi dall’elenco dei terroristi”.

Successivamente, con Helin Bölek, abbiamo trasformato la nostra azione in uno sciopero della fame illimitato. Ciò significava che non avremmo rinunciato a questo sciopero della fame fino a quando le nostre richieste non fossero state accettate. Al prezzo, se necessario, della nostra stessa morte. Durante i nostri processi, Helin e io siamo stati rilasciati, ma nonostante il diffondersi del sostegno popolare, di quello di artisti e di membri del Parlamento, il governo si è rifiutato di ascoltare le nostre richieste.

Helin ai parlamentari che la visitarono disse: “Se ci promettono che potremo fare di nuovo un concerto, interromperò lo sciopero della fame illimitato”. Ma anche questa promessa ci è stata negata. Di più: il governo ci ha impedito di organizzare il suo funerale secondo i desideri di Helin.

Helin, adesso, riposa in un cimitero di Istanbul, coperta da un lenzuolo bianco. Ora la stanza accanto alla mia è vuota. Quanto a me, che da qualche tempo vivo dentro un letto, non so come finirà il mio viaggio. La battaglia che si sta consumando nel mio corpo si concluderà con la morte? Oppure con la vittoria della vita? Quel che so con maggior forza in questa lotta è che, finché non accetteranno le nostre rivendicazioni, mi aggrapperò alla vita anche in questo cammino verso la morte.

Ibrahim Gökçek, 26 aprile 2020, l’Humanité

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