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Morire per la libertà in Turchia. La commovente lettera di Aytac Ünsal da 110 giorni in sciopero della fame: «Io non mi arrenderò»

24 Maggio 2020 - 13:32 Felice Florio
Due legali dell'associazione turca degli avvocati progressisti hanno iniziato il digiuno che li porterà alla morte. Ünsal non mangia da 110 giorni. A Open è arrivata una sua lettera

Helin Bölek, Mustafa Koçak, Ibrahim Gökçek. Sono i musicisti della band turca Grup Yorum morti dopo uno sciopero della fame durato quasi un anno. Il mondo intero, vedendo le foto di quegli artisti ridotti letteralmente pelle e ossa, ha acceso i riflettori sulla questione dei diritti umani in Turchia. Qualche giorno più tardi, sulla deriva autoritaria del Paese, è calato di nuovo il buio. E da quell’oscurità arriva una lettera straziante di un altro uomo che si sta lasciando morire: non si tratta di un artista, ma di un avvocato che difendeva quei musicisti non allineati con l’idea di Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Il suo nome è Aytaç Ünsal ed è rinchiuso nella prigione di Balıkesir. Una sua collega Ebru Timtik, si trova invece a Siliviri, il più grande carcere d’Europa. Non si nutrono rispettivamente da 110 e da 141 giorni: è il cosiddetto “death fast”, un digiuno che li porterà alla morte. Gli ideali per cui hanno scelto di morire sono gli stessi dei musicisti del Grup Yorum: libertà di espressione e procedimenti giudiziari equi. Ünsal e Timtik fanno parte dell’associazione degli Avvocati progressisti della Turchia, un gruppo di legali che sposa le cause delle fasce più deboli della popolazione.

L’accusa per la quale sono stati incarcerati e sottoposti a processo – l’ordine è voluto -, è di far parte di associazioni terroristiche. La verità è che difendevano le persone accusate di questo reato, usato spesso come ammennicolo per mettere a tacere il dissenso nel Paese. C’è una data in cui la giustizia in Turchia è diventata più ingiusta di prima: è il 15 giugno 2016, giorno del fallito colpo di Stato che è diventato il pretesto per imporre un controllo oppressivo nei confronti di giornalisti, avvocati e accademici che si oppongono a Erdoğan.

Da quel giorno, la deriva autoritaria della Turchia ha subito una brusca accelerazione. L’ong Reporter Senza Frontiere ha recentemente definito il Paese come «il più grande carcere al mondo di giornalisti professionisti». Sono stati chiusi 70 quotidiani, 20 riviste, 34 stazioni radio e 33 canali televisivi. 88 giornalisti sono stati condannati in via definitiva, 73 sono detenuti in attesa di giudizio e 167 si trovano in esilio. La situazione non va meglio per gli avvocati.

Dal rapporto dell’ong The Arrested Lawyer Initiative risulta che, a febbraio 2020, oltre 1.500 avvocati sono stati messi sotto indagine e 605 arrestati. Dal 15 luglio 2016, giorno nero per i diritti civili in Turchia, a 345 legali sono state comminate pene complessive per 2.158 anni di carcere. Ogni sentenza parla di appartenenza a un’organizzazione terroristica armata o propaganda terroristica. L’ultima beffa è che, in seguito all’epidemia da Coronavirus, circa 100.000 persone nelle carceri turche hanno ricevuto la libertà condizionale per evitare la diffusione del virus nelle strutture penitenziarie. Avvocati, attivisti, giornalisti e prigionieri politici, invece, sono stati esclusi dalla legge dello scorso 14 aprile.

Aytaç Ünsal e sua moglie

Restano dietro le sbarre Aytaç Ünsal e Ebru Timtik. A marzo 2019, i due hanno ricevuto condanne definitive per un totale di 159 anni. La sentenza parla di associazione al Dhkp/C, partito politico illegale in Turchia. Il processo è stato fortemente influenzato dal ministro dell’Interno Soleyman Soylu, il quale riteneva gli avvocati «un pilastro dell’organizzazione terroristica Dhkp/C». L’opposizione in parlamento ha definito il loro processo «una farsa», ma nulla è cambiato: Aytaç Ünsal e Ebru Timtik insieme ad altri 17 legali dell’associazione degli Avvocati progressisti sono ancora in carcere.

In Italia, hanno già richiesto la liberazione dei loro colleghi l’Ordine degli avvocati di Ravenna, l’Ordine della Valle d’Aosta e altre associazioni del settore. Una richiesta di liberazione immediata perché «il protrarsi della detenzione in carcere e lo sciopero della fame portato avanti dai colleghi rischia di compromettere gravemente la loro salute psico-fisica, situazione ulteriormente aggravata dallo stato di totale isolamento in cui alcuni di loro si trovano ed in particolare dei colleghi Aytaç Ünsal e Ebru Timtik», scrivono i legali valdostani.

La lettera di Aytaç Ünsal è arrivata a Open attraverso un membro del Grup Yorum. L’avvocato l’ha spedita dalla prigione di Balıkesir. «Non ho mai lasciato indietro le persone più vulnerabili. Ho vissuto i momenti più felici della vita mentre difendevo i più deboli nei tribunali. Grazie al mio lavoro di avvocato ho conosciuto il valore della vita e delle singole persone». Una petizione è stata lanciata per supportare la sua richiesta e quella di Ebru Timtik di essere sottoposti a un processo equo. Per firmarla, «scrivere una mail con il proprio nome, lavoro e località a savunmayaozgurluk@gmail.com».

La fototessera di Aytaç Ünsal

Il testo della lettera

Volevo parlarvi di me perché penso che vi interessi il motivo che porta un avvocato a fare lo sciopero della fame. Nella mia storia personale sono racchiuse le ragioni per cui un legale ha scelto di incamminarsi verso la morte. Purtroppo è una storia che riguarda in realtà tutti noi.

[…] Ho avuto la fortuna di avere come madre una magistrata. Essere consapevoli del meccanismo giudiziario sin dall’infanzia è un buon modo per imparare l’importanza dei diritti e della giustizia. Ma ho conosciuto anche l’ingiustizia da bambino: c’erano differenze in classe, c’erano differenze con le persone più povere delle città in cui ho vissuto.

[…] Quando mi sono trasferito ad Ankara per studiare all’università, la maggior parte degli studenti della facoltà di giurisprudenza erano figli di famiglie benestanti. Erano lontanissimi dalla realtà dei milioni di poveri che avevo conosciuto trasferendomi in molte città della Turchia per motivi di lavoro dei miei.

Sapete quando nei film turchi si usa l’espressione “persone di un altro mondo?” Erano proprio quelle lì. Le loro giornate e i loro problemi erano troppo diversi da ciò che avevo visto. Non mi sentivo a mio agio e non ero felice.

Ero abituato al rapporto con la gente umile: aperto, sincero, caloroso. Da bambino ho imparato a considerare solo ciò che fosse giusto, senza pregiudizi, sapendo ridere e soffrendo con chiunque. All’università cercavo nelle persone i valori dei miei amici di infanzia, ma mi sentivo come se fossero improvvisamente scomparsi.

Poi sono entrato in contatto con l’Ufficio legale popolare, e li ho realizzato che quelle persone oneste in realtà erano ovunque. Milioni e milioni: li ho trovati di nuovo, li ho trovati nella resistenza di Cansel Malatyalı a cui ho partecipato. Li ho conosciuti con i lavoratori di Kazova. Li ho visti nella miniera di Kınıklı. Li ho trovati in Didem, mia cara moglie, anche lei avvocata dell’Ufficio legale popolare. Dopo averli trovati di nuovo, non li ho mai lasciati soli.

Non ho mai lasciato indietro le persone più vulnerabili. Ho vissuto i momenti più felici della vita mentre difendevo i più deboli nei tribunali. Grazie al mio lavoro di avvocato ho conosciuto il valore della vita e delle singole persone. L’ufficio legale popolare mi ha insegnato la vita in termini reali.

[…] Ora mi stanno costringendo a rinunciare a tutto questo. Dicono che non puoi difendere gli operai, gli abitanti del villaggio, la gente dell’Anatolia. Dicono che non puoi essere un avvocato presso l’Ufficio legale popolare. Dicono che non puoi vedere Didem per i prossimi dieci anni e mezzo. Stanno cercando di mettere al bando le persone, il paese, il mio amore, la mia professione.

Ma queste non sono cose senza valore a cui puoi semplicemente rinunciare. Non è abbastanza semplice dire “Beh, non c’è niente da fare.” Io non rinuncerò mai alla mia gente, all’Anatolia, che mi ha insegnato la vita, che mi ha reso umano con il suo sforzo. Morirò ma non mi arrenderò.

Questa è la storia del mio viaggio. Resisterò alla morte come Mustafa Koçak e come İbrahim Gökçek che è morto pesando 30 chili. Fanno parte della mia famiglia già da quando eravamo bambini. Io sono stato loro avvocato fin dall’infanzia. Morirò, ma non smetterò mai di difenderli!

Aytaç Ünsal

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