Il caso Molise: così un funerale rom ha invertito la tendenza nella regione con meno contagi d’Italia

I tre giorni del condor, anzi: del pipistrello. I tre giorni che cambiano il mondo sonnacchioso del Molise con la tempesta dei numeri, piombati a fiaccare le speranze di baristi, ristoratori, commercianti. E a scioccare le Istituzioni: come diavolo è possibile?

70 nuovi contagi in meno di 48 ore, che per una regione come il Molise di nemmeno 300mila abitanti dove fino a qualche giorno fa i numeri degli attuali positivi non arrivava a 200, equivale a un bollettino di guerra. Le prime avvisaglie giovedì scorso, con un ricovero in Infettive all’ospedale Cardarelli (non quello di Napoli, quello di Campobasso: ben più piccolo e unico hub Covid del Molise) di una donna rom.


La comunità rom in Molise

I rom di Campobasso sono oltre 300, diverse le famiglie “importanti” e i personaggi in vista per la cui morte, in tempi di minori restrizioni, si sarebbero schierate le tradizionali carrozze a cocchio trainate da cavalli, gli stessi che pascolano nella immediata periferia di Campobasso, a ridosso dei quartieri dove la comunità abita. Una donna rom, dunque, la paziente 1. E poi, a cascata, con lo screening dei tamponi molecolari, numeri da incubo: 20, altri 20, poi altri 10.


Il monitoraggio non è finito e già lo scenario si è ribaltato come nel Sottosopra. 60 rom positivi (numero destinato a salire), 4 ricoveri in Infettive, il reparto che negli ultimi settimane si era svuotato con sollievo generale e perfino un accenno di festa. E invece ecco che il Molise ripiomba in piena emergenza. Contagi a cascata, come la catena del domino. E tutto per un funerale, in pieno lockdown per giunta.

In Molise li chiamano “zingari”, e loro tessi ci tengono a rivendicare l’appartenenza a quella etnia. Ma sono molisani da sempre, radicati, integrati. Gestiscono attività, alcuni sono assunti nei servizi sociali. Rom ma campobassani, a tutti gli effetti. Magari un pochino allergici al distanziamento, che pure in una regione come il Molise è una opzione praticamente di default: paesi semispopolati e case disabitate di emigranti che decenni fa hanno lasciato la terra natia sono andati in soccorso alla lotta al virus rivelandosi l’arma migliore.

Ma i rom, non è un mistero, della aggregazione hanno sempre fatto la loro bandiera sociale. E dopo quel corteo funebre, che ora scotta come la mela di Adamo e Eva nelle mani di Regione e Azienda Sanitaria, è oggetto di indagini giudiziarie e una guerra senza quartiere sui social.

Il funerale del 30 aprile

«Nessun funerale è stato autorizzato» ha spiegato in tutte le salse il sindaco Roberto Gravina, pentastellato sui generis, giovane e amato dalla città che l’ha preferito senza tentennamenti di sorta alla leghista scelta da Matteo Salvini. «Era stata inoltrata richiesta di celebrare il funerale ma c’è stato un ovvio diniego. La tumulazione al cimitero e la benedizione ci sono state, ma erano meno di dieci persone e si tenevano a distanza» ha chiarito il sindaco finito nel tritacarne social per non aver saputo fronteggiare e impedire una situazione incandescente.

Lui ha spiegato: «I rom avrebbero voluto celebrare il funerale nella chiesa di San Pietro, ma il parroco è stato diffidato a celebrare le esequie e ha chiuso la chiesa. È stata accordata solo la benedizione». Vero, i funerali erano vietati per legge. Ma “l’ultimo saluto” al defunto non avrebbe potuto toglierlo nessuno. Solo che invece di 5 o 6 parenti stretti in paziente e raccolta processione a distanza dietro alla bara, sotto la casa del morto si forma una vera e propria folla, quel raggruppamento che oggi passerebbe sotto la ben più temibile definizione di “assembramento”.

Oltre 50 rom attorno alla famiglia. Lacrime, pianti, condoglianze, abbracci di conforto, teste sulle spalle, guance umide. Goccioline di Flugge, veicolo principale del contagio, creano una nebbia virologica. Una donna, dal balcone, filma il corteo scandalizzata. Ma il video, che su whatsapp ha girato per giorni, finisce in mano alla polizia solo quando ormai la frittata è fatta.

Il video ha permesso di “identificare i due terzi delle persone che erano presenti in via Liguria e che saranno sanzionate” fanno sapere dal Comune di Campobasso. «Ai rom – riferiscono invece dalla Questura – saranno elevate sanzioni salate per non aver rispettato le leggi in vigore durante il lockdown che vietavano gli assembramenti».

Intanto in Molise il contagio esplode e si diffonde. Tanto più che al corteo sono arrivate famiglie rom da altri centri, e perfino una famiglia dalla regione confinante, l’Abruzzo. E oggi la mamma, una di quelle che ha stretto in un abbraccio la famiglia colpita dal lutto, si ritrova ricoverata nel reparto di malattie Infettive del San Pio di vasto con sindrome Covid.

Il direttore generale Arem Oreste Forenzano, un supertenico che ha iniziato la carriera molisana una settimana prima che scoppiasse fra le mani di tutti l’emergenza Covid, si affanna a rassicurare l’opinione pubblica, avvelenata dall’esplosione di casi che ora compromettono le riaperture. «Mi appello al buon senso, al rispetto delle regole» supplica da Facebook, diventato il teatro privilegiata dalla battaglia sociale che si combatte in Molise, tra odi e derive razziste, offese agli “untori”, accuse alle autorità di aver chiuso un occhio davanti alla “vergogna” del corteo, di inefficienza alle autorità sanitarie. Risponde uno dei parenti del defunto: “La vostra invidia sarà la nostra forza, figli di puttana”

Il presidente della Giunta regionale dl Molise, Donato Toma, è talmente confuso da dire, a distanza di un’ora, due cose radicalmente opposte. «Stiamo facendo tutte le verifiche perché quanto è successo a Campbasso è di una gravità inaudita». Subito dopo corregge il tiro: «La situazione a Campobasso è sotto controllo».

Che caos. E in tutto questo il rischio di nuovi contagi è altissimo: i rom hanno rifiutato l’invito a isolare i loro positivi in un hotel dismesso che qualcuno ha pensato di riconvertire in fretta e furia in un centro Covid alla buona per evitare che i familiari dei contagiati siano contagiati a loro volta. Possibilità acuita dalla caratteristica che le famiglie rom sono numerose e negli stessi alloggi coabitano vecchi, adulti, bambini, tutti insieme.

Nei tre quartieri in cui vivono i rom, il sindaco Gravina ha predisposto controlli h24 delle forze dell’ordine per evitare che i positivi in isolamento domiciliare lascino le loro abitazioni e se ne vadano in giro. Ieri però, domenica – come ha scritto il sito primonumero.it che è andato a verificare – non c’era nessuno a presidiare le zone. E ora qualcuno invoca l’esercito. Lo ha chiesto il consigliere regionale Andrea Di Lucente, immaginando che solo i carri armati potrebbero forse avere qualche effetto pratico sugli indisciplinati.

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