Statuto dei lavoratori: 50 anni ben portati. Ma per modernizzare il lavoro va cambiato dalle fondamenta – L’intervento

Una legge molto importante che ha avuto una vita lunga, tanto da restate in vigore dal 1970 fino ad oggi

Oggi è una data storica per i diritti del lavoro, ricorrono i 50 anni dall’approvazione dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970). Una ricorrenza importante che va festeggiata, innanzitutto, celebrando il grande valore sociale che ha avuto questa legge, che ha migliorato le condizioni e di vita di milioni di lavoratori. Se volessimo spiegare in poche parole che cosa ha significato, all’inizio degli anni settanta, l’approvazione di questa legge, potremmo dire che con lo Statuto alcuni diritti individuali e sindacali sono entrati in maniera prepotente e stabile nel patrimonio dei lavoratori e delle imprese.


Una legge molto importante che ha avuto una vita molto lunga, tanto da restate in vigore – avendo subito solo qualche aggiustamento nel corso degli ultimi 50 anni – fino ad oggi. Ma questa estrema longevità non è solo la spia del fatto che si tratta di una buona legge. Significa anche che è arrivato il momento di cambiare in profondità le regole. Il lavoro è cambiato in maniera radicale dagli anni settanta ad oggi; questo cambiamento è destinato ad essere accelerato dalla rivoluzione digitale, un processo ancora in corso, e dall’emergenza Coronavirus, uno stravolgimento delle nostre vite e che non potrà non avere effetti duraturi anche nel mondo del lavoro.


Le necessarie modifiche dello Statuto

La materia dei controlli a distanza richiede un approccio totalmente nuovo: il vecchio articolo 4, oggetto anche di un tentativo (in gran parte fallito) di modernizzazione da parte del Jobs Act, è uno strumento del tutto inadeguato e anacronistico per gestire l’aggressività, ma anche le grandi potenzialità, dei mezzi di comunicazione digitale. Una legge che parla di impianti di videosorveglianza e vieta ogni strumento tecnologico non può essere sufficiente a disciplinare l’uso delle app, degli strumenti di video meeting e delle mille altre diavolerie tecnologiche che oggi sono indispensabili per lavorare.

La disciplina dei licenziamenti – il cui fulcro resta dentro lo statuto, persino dopo la riforma introdotta dal Jobs Act, costruita avendo a mente (per differenza) l’articolo 18 – è diventata sempre più complessa, una sommatoria di sofisticate architetture giuridiche e procedurali che tutela in modo efficace solo gli avvocati e i tecnici chiamati a gestirla, mentre scontenta tutti gli altri: le imprese, che lamentano l’eccessiva incertezza e i costi dei licenziamenti, e i lavoratori, che non si sentono adeguatamente protetti.

Le regole sulle mansioni, anche queste ritoccate nel 2015, ancora non sono sufficienti a gestire i tanti cambiamenti del lavoro, anche in ragione del poderoso sviluppo dello Smart Working e del concetto di agilità del lavoro. Il tema della rappresentanza e della rappresentatività sindacale, cui sono dedicate tante norme dello Statuto, cammina ormai su basi del tutto inadeguate a gestire un’economia moderna: mancano meccanismi certi di misurazione della rappresentanza (anche se ogni due/tre anni viene annunciata qualche soluzione definiva al problema) e mancano sistemi capaci di garantire l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi.

L’ultimo – ma non meno importante – problema che affligge lo statuto riguarda i giovani, i precari, i lavoratori flessibili e tutto il variegato mondo dei lavoratori “non standard”: lo Statuto dei lavoratori è un abito elegante che, pur invecchiato, ancora può essere indossato solo da una specifica (ma limitata) categoria di lavoratori, quelli subordinati a tempo pieno e indeterminato. Per i milioni di lavoratori che non possono indossare questo abito, c’è il far west delle tutele: da categoria a categoria, ci sono norme protettive, carenze spaventose o soluzioni tampone, senza un disegno dotato di un minimo di razionalità.

Ecco allora che lo Statuto dei lavoratori dovrebbe essere adeguatamente festeggiato con l’avvio di una discussione seria su come tutelare gli esclusi dalla cittadella delle tutele, esigenza che aveva intravisto già Marco Biagi più di 20 anni fa con il suo progetto di “Statuto dei nuovi lavori”. E’ una discussione scomoda, perché comporta il ripensamento di molte rendite di posizione. Ma è necessaria per aumentare il tasso di eguaglianza ed efficienza del nostro mercato del lavoro.

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