Lavorare meno a parità di salario? Un progetto inadeguato a gestire gli effetti dell’emergenza Coronavirus – L’intervento

Dopo l’emergenza sanitaria le imprese dovranno gestire esuberi, riduzioni di fatturato o fabbisogni di lavoro temporaneo: nessuna di queste esigenze sarebbe soddisfatta da questa proposta

Una delle tante task force chiamate a sfornare idee per la ripartenza del Paese, quella istituita dal ministero dell’Innovazione, ha rispolverato un progetto dal sapore antico: la riduzione dell’orario a salario invariato, con un contributo dello Stato.


Questa proposta (vagamente somigliante al modello sperimentato in Germania da un paio di anni, con tassi di produttività e occupazione ben diversi dai nostri e senza un’epidemia da gestire) è destinata a ingenerare illusioni e aspettative sbagliate: va detto con forza, per evitare che la Fase 2 parta il piede sbagliato.


Quali strumenti hanno le imprese per affrontare i cambiamenti post Covid-19?

Il lavoro dopo l’emergenza sanitaria non sarà più lo stesso; alcuni cambiamenti saranno uguali per tutti (es. la spinta verso la digitalizzazione) mentre altri toccheranno in maniera differenziata le aziende. Le imprese che hanno visto crollare drasticamente il proprio fatturato e che si aspettano uno scenario simile nel prossimo futuro, hanno una sola strada per evitare il fallimento: rivedere il proprio modello organizzativo, riducendo il personale messo brutalmente in esubero dal Covid 19

La riduzione dell’orario non risolve questo problema, come dimostra la scarsa incidenza che ha il “contratto di solidarietà difensiva”, un ammortizzatore sociale praticamente identico alla misura proposta dalla task force (si riduce l’orario e il salario perso viene reintegrato in larga misura dall’Inps; manca la formazione, per il resto parliamo della stessa cosa). Questo ammortizzatore viene usato per casi specifici, ma non è certo la misura in grado di frenare i licenziamenti.

Riduzione del costo del lavoro, politiche attive, ammortizzatori sociali e flessibilità

È giusto che lo Stato si ponga il problema di limitare i licenziamenti, ma la soluzione non può essere la loro cancellazione per legge (come avvenuto con la norma temporanea contenuta nel Decreto “Cura Italia”): servono politiche attive e ammortizzatori sociali efficienti. La riduzione dell’orario non serve nemmeno a quelle imprese che, pur avendo subito un brusco crollo del fatturato, sono costrette a mantenere inalterati i livelli occupazionali per continuare la propria attività. 

Queste aziende avrebbero bisogno di una misura opposta rispetto a quella proposta dalla task force: far lavorare il personale lo stesso numero di ore, ma riducendo il costo del lavoro, per evitare che lo squilibrio tra entrate ridotte e costi invariati faccia saltare tutto in aria. La riduzione dell’orario sarebbe, infine, inutile anche per quelle imprese che vedranno crescere la propria attività dopo l’emergenza Covid 19.

Queste aziende hanno bisogno di norme in grado di stimolare la crescita anche in un contesto di grande incertezza, come ad esempio la possibilità di usare il termine e la somministrazione senza i limiti stringenti e anacronistici del decreto dignità (limiti che il Governo sembra intenzionato a rimuovere, almeno per il periodo dell’emergenza).

Insomma, per gestire la profondità dei cambiamenti e dei problemi cui va incontro il mercato del lavoro serve una risposta più sincera di uno slogan affascinante ma illusorio come “lavorare  meno lavorare tutti”. Il Covid 19 imporrà a molti di lavorare di più, ma con meno guadagni, e farà perdere il lavoro a molti altri: prima prendiamo atto di questa amara verità, e prima saremo in grado di trovare soluzioni efficaci ai grandi problemi che ci riserva il futuro. 

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