Coronavirus, c’è l’accordo tra i ministri Ue: frontiere esterne chiuse fino al 1° luglio

La proroga è stata comunicata al termine di un incontro tra i ministri dell’Interno europei. Durante la videoconferenza l’Italia e altri Paesi mediterranei hanno anche chiesto una riforma della convenzione di Dublino

I ministri dell’interno europei hanno raggiunto «un accordo globale» sulla richiesta di estendere fino a fine giugno la chiusura delle frontiere esterne dell’Ue, misura che altrimenti scadrebbe il 15 giugno, così come era stato deciso in un primo momento per l’emergenza Coronavirus. Il 15 giugno segna anche la data in cui dovrebbero essere rimosse le frontiere tra tutti gli stati Ue. La decisione è stata annunciata al termine della videoconferenza dei ministri dell’interno europei. «Stiamo lavorando a una comunicazione che verrà approvata la prossima settimana», ha detto la commissaria Ue agli Affari interni, Ylva Johansson.


A metà giugno riaprono le frontiere interne (con qualche eccezione)

«Credo che torneremo al pieno funzionamento dell’area Schengen non più tardi di fine giugno», ha aggiunto Johansson, specificando però che alcuni paesi «dicono di non essere pronti a farlo» e di aver bisogno di valutare ulteriormente la situazione epidemiologica. Ad ogni modo, se i controlli alle frontiere interne dell’Ue dovranno essere tolti entro la fine di giugno, gli stati membri dovranno anche «considerare l’eliminazione graduale delle restrizioni ai viaggi non essenziali da Paesi terzi verso l’Ue a inizio luglio», ha detto Johansson. «Tutti gli Stati membri sono d’accordo, e l’hanno sottolineato oggi, che anche nel caso delle frontiere esterne il processo deve essere graduale e strettamente coordinato a livello Ue».


Riforma di Dublino e il «no» del gruppo Visegrad

Durante la videoconferenza, l’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo (Cipro, Grecia, Malta e Spagna) hanno chiesto alla Commissione una riforma di Dublino che «superi il criterio della responsabilità del Paese di primo ingresso» e preveda «un meccanismo di ricollocamenti obbligatori». Si tratta di un non-paper illustrato questa mattina dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, con cui viene chiesto che la «solidarietà e un’equa condivisione delle responsabilità» servano da base per il nuovo patto europeo sull’immigrazione e l’asilo che verrà presentato dalla Commissione nelle prossime settimane.

I cinque Paesi chiedono di «introdurre un meccanismo di ricollocamenti obbligatorio, che preveda la distribuzione tra tutti gli Stati membri dei migranti che «entrano nel territorio di uno Stato membro incluso come risultato di operazioni di ricerca e soccorso», l’allocazione di porti sicuri alternativi nel caso in cui i porti mediterranei fossero sotto grande pressione e delle «linee guida per le attività di ricerca e soccorso condotte da imbarcazioni private».

Ma sono già arrivati i primi «no» dai ministri dell’Interno del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) più Estonia, Lettonia e Slovenia. In una lettera inviata alla Commissione Ue, si legge: «La riforma della politica di asilo europea deve basarsi sul consenso di tutti gli Stati membri. Reiteriamo la nostra forte opposizione ai ricollocamenti obbligatori di richiedenti asilo e migranti». 

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