La simulazione di una scuola di Roma mette in dubbio la ripresa a settembre: «Lezioni per la metà del tempo»

Genitori e insegnanti hanno elaborato una simulazione e il risultato è impietoso. E il rischio è la fuga verso le scuole private

Siamo nel centro storico di Roma, tra le scuole pubbliche più note della capitale, l’Istituto Comprensivo Visconti, che include elementari e medie: vicino al centro ma frequentato anche da tanti ragazzi di periferia. Durante l’emergenza Coronavirus, i genitori degli alunni, insieme agli insegnanti, preoccupati dal prolungamento della didattica a distanza, hanno formato, con il benestare della preside, una Commissione Covid-19 per capire come tornare alla “normalità” a settembre e riportare gli studenti in classe. Conclusione? Allo stato attuale delle cose, non si può.


Si profila una “fuga” dal pubblico al privato, per chi può. Il ministero: «Ne parleremo con l’Ufficio scolastico regionale »

Il calcolo del Comitato è preoccupante. «Una scuola dimezzata – si legge nel comunicato che hanno diffuso nei giorni scorsi – questa è la scuola pubblica che ci attende a settembre. E se la scuola è il futuro del paese, allora è un futuro ben tetro quello che stiamo preparando». Per riportare tutti gli studenti in presenza a scuola servirebbero più spazi (per mantenere le distanze di sicurezza), o almeno più docenti, per poter fare “doppi turni”, che garantiscano le misure di sicurezza da Coronavirus. I doppi turni sarebbero l’unico modo di seguire le prescrizioni, senza ledere il diritto allo studio dei ragazzi accorciando indebitamente l’orario di scuola.


I sindacati lo dicono da tempo. Secondo i loro calcoli in Italia, se bisogna rispettare le regole Covid, le aule delle scuole italiane possono accogliere attualmente circa la metà degli alunni: ne occorrerebbero 270.000 in più. Più aule, ma anche personale aggiuntivo, sia per garantire l’igiene e la pulizia dei locali (personale Ata), sia per sopperire alle esigenza di didattica. Per un costo totale di ben 13 miliardi di euro per 10 mesi, calcolano i sindacati, quasi tre volte la somma stanziata attualmente dal ministero.

Nei cinque plessi dell’Istituto Visconti studiano circa 1.100 studenti, per una media di 20-25 alunni per classe, nel pieno rispetto quindi dei limiti previsti. L’esempio di una scuola del centro può essere rappresentativo dell’intero paese? Il presidente della Commissione Covid, il professor Enzo Marinari, sostiene di sì, al netto della vetustà di alcuni degli edifici che ospitano gli alunni. Anche se non lo fosse, in media le scuole sono, presumibilmente, in condizioni peggiori, non migliori.

Insegnanti sullo schermo?

Perché non pensare a soluzioni alternative, introducendo per esempio degli schermi nelle aule che permettano a una parte degli studenti di seguire le lezioni da casa? «Questa è un’ipotesi su cui abbiamo lavorato molto», risponde Marinari. «Il problema con la didattica “blended”, mi dicono gli insegnanti, è che in una scuola elementare o media non può funzionare. I docenti ci dicono che non sono assolutamente in grado di svolgere una classe in presenza e una in remoto, perché è estremamente difficile tenere d’occhio tutti gli studenti contemporaneamente».

«Il rischio», continua Marinari, «non è soltanto che non si torni in presenza, ma, nel nostro caso, che alcuni genitori possano decidere di iscrivere i propri figli a una scuola privata. Sarebbe un peccato, una sconfitta per la scuola pubblica». Nel frattempo, dal Ministero fanno sapere che stanno lavorando per predisporre delle linee guida di carattere nazionale. Vanno avanti i gruppi di lavoro con gli Uffici scolastici regionali con cui nelle prossime settimane cercheranno di trovare delle soluzioni con tutte le scuole che si trovano in difficoltà, lavorando con gli enti locali. È previsto un incontro tra la viceministra Anna Ascani e l’Ufficio scolastico regionale del Lazio in cui, fa sapere la sua portavoce, si parlerà anche del caso Visconti.

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