La stagione estiva sconfiggerà il Coronavirus? Il preprint «tutto italiano» che non lo dimostra

È legittimo credere che il Sars-CoV2 possa rivelarsi più debole durante l’estate, ma al momento questa ipotesi non è stata dimostrata

Su diversi quotidiani sono stati riportati i risultati di uno studio preprint – ovvero in attesa di revisione per la pubblicazione – condotto a Milano da un team di ricerca che unisce immunologi e astrofisici, il quale dimostrerebbe che «la stagione calda riduce il contagio o indebolisce il Sars–CoV–2», tale ipotesi sarebbe inoltre dimostrata da precedenti ricerche.

L’esperimento oggetto dello studio è stato condotto tra diversi istituti: Irccs fondazione Don Gnocchi di Milano; università degli Studi di Milano; istituto nazionale di astrofisica e Istituto nazionale dei tumori. Qui non si vogliono mettere in dubbio i risultati, né la correttezza del metodo utilizzato, quanto – ed esclusivamente – l’interpretazione fatta dai media riguardo alle sue concrete implicazioni.

Una ricerca «tutta italiana»

Non sappiamo con esattezza quali sono le precedenti ricerche in grado di dimostrare che il Sars-CoV2 possa essere indebolito dal caldo, e ci auguriamo di poterlo verificare quanto prima. Al momento però questa tesi non trova un ampio consenso nella comunità scientifica. Si è cercato di sostenere per esempio un collegamento con la produzione di vitamina D, ma con scarsi risultati. C’è chi ha previsto esempio una scomparsa del virus già ad aprile, proprio in ragione del caldo. Al momento non vi sono evidenze che ci portino a ritenere che Sars-CoV2 possa essere sconfitto dal clima caldo. Il Covid-19 non è una malattia paragonabile all’influenza

In un position paper «tutto italiano», impropriamente esaltato come uno studio vero e proprio su diverse testate, si sosteneva la possibilità che l’inquinamento atmosferico favorisse la trasmissione del virus a distanze e tempi superiori rispetto a quelli previsti nello stabilire le raccomandazioni del distanziamento sociale, ma abbiamo visto che presentava grossi limiti. Il problema è che la ricerca non è italiana, né americana o cinese: la ricerca è di tutti e non funziona di più se vi accostiamo un po’ di sciovinismo italico, altrimenti rischiamo di offuscare il nostro giudizio.

Come è stato svolto lo studio

Nell’esperimento i ricercatori hanno esposto il virus, presente in «goccioline acquee in sospensione», a diverse dosi di raggi Uv–C. «Abbiamo diffuso nelle goccioline tre quantità – continua il coautore dello studio, l’immunologo Mario Clerici in una intervista – la dose che si rileva nei soggetti infetti ma asintomatici, poi moltiplicata per dieci, che si rileva nel tampone di un paziente con sintomi, e poi per mille, quella presente in un paziente in fin di vita per polmonite da Covid– 19».

Ovviamente i risultati sono stati positivi. I raggi UV (ultravioletti) sono radiazioni ionizzanti, che al contrario di quelle non ionizzanti (come quelle del 5G), possono danneggiare gli acidi nucleici, in questo caso l’RNA virale. Secondo i media che hanno riportato i risultati dello studio, questo dovrebbe spiegare perché la pandemia oggi appaia «più controllata nei Paesi del nostro emisfero, mentre cresce in quello australe».

Qui le cose si fanno più complicate. Supponendo che sia davvero così, sono tanti i fattori che possono spiegarlo, mentre lo studio non spiega in che modo questi risultati possano essere rilevanti nel meccanismo più probabile di trasmissione del virus, ovvero quando le particelle di saliva vengono trasmesse a meno di un metro di distanza nel breve periodo, attraverso rapporti sociali tra persone. 

«Il fenomeno ci viene confermato – continua Clerici – dal confronto che abbiamo effettuato tra i dati dell’irraggiamento solare in 246 Paesi del mondo tra il 15 gennaio e il 30 maggio, raccolti dall’agenzia Temis, e quelli della prevalenza di infezione da Sars–CoV–2 diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità».

Ma una correlazione non rappresenta un collegamento causale, come abbiamo visto in diversi articoli precedenti. Del resto nelle loro conclusioni i ricercatori non sostengono di aver dimostrato che il virus sarà sconfitto dalla stagione estiva, bensì suggeriscono che i loro risultati possano tornare utili nella «progettazione e sviluppo di metodi di disinfezione a base UV efficienti per contenere l’infezione di Sars-CoV-2». 

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Foto di copertina: Nietjuh/Pixabay | Summer.

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