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Una stanza a raggi Uv per curarsi dal Covid? Cosa sappiamo finora su virus e radiazioni solari

20 Luglio 2020 - 11:24 Giada Giorgi
L'ultimo progetto sperimentale è stato rifiutato dall'Istituto Superiore di Sanità. Il dibattito continua a essere aperto

Entrare in una stanza, sottoporsi a raggi ultravioletti e guarire da Covid-19. Questa è la prospettiva, mista a speranza, che gli studi guidati dal dott. Maurizio Pianezza, chirurgo oncologo e pneumologo del Comitato scientifico European medicinal association (Ema), hanno proposto all’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Un progetto sperimentale però rifiutato, come racconta lo pneumologo al Corriere della Sera, e che continua a destare dubbi e perplessità da parte dei ricercatori.

La questione dibattuta sta proprio nella possibilità di inattivazione del virus attraverso la luce solare. Diversi studi finora hanno provato a dimostrare la potenzialità dei raggi Uv pur non riuscendo a placare i dubbi nel dibattito. La prima ricerca ad essere stata pubblicata in questo senso è quella sul The Journal of Infectious Diseases, il cui obiettivo è stato valutare l’influenza della luce solare simulata sulla persistenza del virus sulle superfici.

È stata utilizzata una camera a controllo ambientale con una finestra al quarzo per irradiare alcuni coupon contaminati da virus secco. Un simulatore di luce solare, costituito da una lampada ad arco allo xeno e una serie di filtri ottici è servita poi per illuminare l’interno della camera.

Esempio di camera utilizzata per l’esperimento pubblicato su The Journal of Infectious Diseases

«La luce solare simulata ha rapidamente inattivato SARS-CoV-2 sospeso in saliva simulata o terreni di coltura, ed essiccato su coupon in acciaio inossidabile», si legge nello studio. Il 90% del virus infettivo è stato inattivato ogni 6,8 minuti nella saliva simulata e ogni 14,3 minuti nei terreni di coltura, esposti alla luce solare simulata di un solstizio d’estate a 40 ° N di latitudine al livello del mare.

Precise condizioni di umidità e temperatura

Condizioni di esperimento ben precise dunque che permetterebbero l’efficacia. Così come conferma anche la ricerca del dott. Pianezza. Nel caso del progetto che non convince l’Iss, è stata prevista una camera con una geometria particolare dove i malati Covid entrano per tre minuti, sottoponendosi ai raggi Uv. Ad agire favorevolmente per il debellamento del virus non sarebbe tanto il caldo in sé ma specifiche condizioni.

Il raggio ultravioletto dell’esperimento del dott. Pianezza ha infatti un angolo di incidenza tra i 155 e i 158 gradi, esattamente come accade durante il periodo del solstizio, tra il 21 giugno e il 3 luglio. Periodo in cui l’Italia ha visto la carica virale abbassarsi di molto. La stanza avrebbe poi una temperatura intorno ai 23 gradi e un’umidità intorno al 70-80%. Da quello che si evince, in entrambe le ricerche, i raggi ultravioletti potrebbero essere efficaci per il tasso di inattivazione del Covi-19. Non a prescindere, ma con specifiche condizioni ricreate in laboratorio.

«Le condizioni ambientali, compresa l’umidità relativa e la luce solare, hanno dimostrato di influenzare il tasso di decadimento dei virus infettivi negli aerosol» spiegano i ricercatori su Infectious Diseases. «Tuttavia, non esistono tali dati sull’influenza di questi fattori sulla persistenza dell’aerosol di SARS-CoV-2». 

Nonostante i tassi di inattivazione per l’esposizione a qualsiasi livello di irraggiamento UV, vengano effettivamente registrati come più veloci di quelli osservati nell’oscurità, gli studiosi invocano la necessità di ulteriori ricerche. E questo soprattutto in merito alla lunghezza d’onda della radiazione solare utilizzata da alcuni esperimenti. Risulterebbe in realtà non efficace perché semplicemente impossibilita a raggiungere la terra a quella velocità, filtrata nell’atmosfera dai che gas che la assorbono.

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