Recovery Fund incassato, ma il vero sconfitto è il sogno di un’Europa unita

Oltre a quel che si è ottenuto bisogna guardare a cosa si è rinunciato per averlo

Dopo l’accordo sul Recovery Fund presentato stamattina dopo quattro giorni e quattro notti di negoziato ci si chiede chi ha perso e chi ha vinto. Di sicuro si può dire che a vincere la sfida della riorganizzazione economica post emergenza Coronavirus è l’Europa dei gruppi organizzati: paesi frugali, gruppo di Visegrad, asse franco-tedesco, paesi mediterranei… ognuno ha negato e ottenuto qualcosa, e in fondo va bene così: non era facile chiudere tutto con un solo vertice. Gli unici che possono sentirsi offesi sono gli europeisti più federalisti: il piano ha sacrificato molto agli interessi nazionali e alle logiche intergovernative. Al di là dei numeri, infatti, l’essenza dell’accordo non è quanto si è ottenuto, ma a cosa si è rinunciato per ottenerlo.


Il sacrifico imposto all’Unione europea

L’UE ha sacrificato il collegamento dei trasferimenti del budget pluriennale all’imposizione dei principi dello stato di diritto, la rimodulazione al ribasso del sistema dei rebates (addirittura rivisti al rialzo) e i fondi destinati a varie categorie di investimenti europei; in particolare quelli riservati alla transizione verde per il contrasto al cambiamento climatico (passata da 30 a 10 miliardi) e il dimezzamento dei fondi destinati alla ricerca e altri programmi dell’UE del tutto indipendenti dagli Stati nazionali. Evidentemente il Consiglio europeo era pronto a pagare un prezzo molto alto per mantenere il principio di fondo del bilancio pluriennale e del Recovery Fund: il trasferimento di fondi, che ha permesso soprattutto all’Italia (che passa da contributore a percettore netto) e alla Spagna di ricevere quanto promesso per superare la crisi pandemica.


Il successo di Orban e del Gruppo di Visegrad

La quota di fondi di coesione per l’Europa dell’Est è stata ridotta solo marginalmente. Cosa più importante, è andata persa la possibilità di collegare il budget al rispetto dello stato di diritto, un obiettivo caro alla Commissione che in questa circostanza è stato completamente accantonato. La Polonia potrà andare avanti con la sua controversa riforma del sistema giudiziario senza rischiare una sanzione economica, così come l’Ungheria. Il premier magiaro Viktor Orbán ha addirittura ottenuto la promessa ufficiale della Cancelliera Angela Merkel di un supporto tedesco per porre fine alla procedura dell’Articolo 7 aperta contro il suo Paese.

Il successo dei frugali

Probabilmente, da ora in avanti il termine “frugali” diventerà il modo in cui verrà chiamato tutto il gruppo allargato dei falchi del rigore e del mercato liberale. Oltre a questo riconoscimento politico, i frugali hanno ottenuto una grande vittoria sui rebates. Rutte torna in patria con 1,92 miliardi di sconti sul bilancio rispetto ai 1,57 da cui partiva. Quelli dell’Austria raddoppiano e arrivano a 565 milioni di euro. I frugali non hanno invece ottenuto il diritto di veto sulle tranche delle sovvenzioni a fondo perduto, ma era l’obiettivo più sproporzionato, buono solo come punto di partenza per un negoziato severo. Con il meccanismo del “freno di emergenza” un singolo Paese potrà solo chiedere una verifica del rispetto dei piani di spesa e portare la questione nel Consiglio, sostanzialmente ritardando una tranche di pagamento. Come funzionerà davvero il meccanismo è tutto da vedere, potrebbe essere fonte di conflitti feroci, occasione per piccole dispute con secondi fini, o magari non essere attivato mai perché la cosa non rappresenta più un problema. Per l’Italia resta l’incognita maggiore, ma non è una minaccia esistenziale.

La sconfitta per i federalisti e le istituzioni comunitarie

Durante il negoziato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli aveva minacciato un veto degli europarlamentari nel caso in cui il budget non avesse dato risposte nel campo del contrasto al cambiamento climatico, il rispetto dello stato di diritto, le iniquità del sistema dei rebates (un annullamento) e lo stanziamento di un paniere di risorse tutte europee. Il piano approvato questa mattina non esaudisce nessuna di queste richieste. Adesso per il Parlamento europeo sarebbe piuttosto imbarazzante mettere il veto sul proprio bilancio, e causare un altro summit d’emergenza, anche se Sassoli ha fatto già delle dichiarazioni critiche “nel lungo periodo”.

La vittoria della logica intergovernativa

I frugali, il gruppo di Visegrad, l’asse franco-tedesco e i paesi mediterranei non sono interessati ad avere un’UE che funzioni in maniera troppo indipendente dagli Stati nazionali. In questa occasione sono stati soprattutto i frugali a prendere il posto che una volta era incarnato dal solo Regno Unito, ma i raggruppamenti interni e la logica dei negoziati tra capi di governo hanno dimostrato che l’UE riesce a fare passi in avanti quando si agisce con logiche intergovernative, Stati che negoziano in base a interessi nazionali, non in base alle famiglie politiche dei leader del momento.

Foto in evidenza Ansa

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