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Coronavirus, il Cts e il compromesso politico: tutte le retromarce per garantire la riapertura delle scuole

Da paladino super partes degli interessi della salute pubblica a campione del compromesso: ecco come i passi indietro del Comitato tecnico scientifico permetteranno il rientro in aula

Coronavirus o non Coronavirus, la scuola riapre. Punto. È questo il mantra del governo, che da un mese è impegnato in una corsa contro il tempo per arrivare preparato a settembre. E sarebbe anche un bel leitmotiv – considerando quanto gli ultimi anni è stata trascurata l’istruzione – se non fosse che il Miur è entrato in gara solo in estate. L’acceleratore è stato schiacciato a fine luglio, a metà agosto sono venuti a galla gli intoppi e ora, al netto della data, la corsa lascia dietro – e davanti – a sé numerosi nodi irrisolti. Se l’obiettivo alla fine si concretizzerà, la certezza è solo una: buona parte del merito sarà dei passi indietro del Comitato tecnico scientifico (Cts).

Che si tratti di un merito, certo, è tutto da vedere. Quello che dovrebbe essere il garante della salute pubblica in tempi di pandemia, l’intransigente difensore del diritto alla vita, sembra da settimane aver abdicato al suo ruolo ascetico. Dal Cts ormai si rimboccano le maniche, mettono le mani nella polvere, la faccia su provvedimenti rischiosi e suggeriscono soluzioni di compromesso che, in realtà, nemmeno gli spetterebbero. Niente li ferma, nemmeno i numeri in progressivo aumento e tutti i nervi scoperti dell’universo scuola.

Spazi per il distanziamento che non ci sono, docenti mancanti, sierologici facoltativi che non vanno per la maggiore. Sistemi di areazione dubbi, un trasporto pubblico mutilato nella gran parte dei comuni italiani. E poi lavoratori fragili tutelati un po’ sì un po’ no, studenti disabili lasciati – come sempre – al buon cuore di qualche educatore. Qualche contagio sarà inevitabile, riconosce il coordinatore Agostino Miozzo. Ma insomma, come gestirlo si vedrà al momento, caso per caso, seguendo le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità che mettono d’accordo tutti. Intanto si riparte. Parola di Cts.

Il distanziamento in classe

Il primo, eclatante, passo indietro è arrivato il 12 agosto. Già due settimane fa era evidente che i banchi monoposto non sarebbero arrivati il 14 settembre in tutte le classi d’Italia – realtà poi confermata dal commissario Domenico Arcuri – e che gli enti locali non si sarebbero organizzati in tempo per trovare spazi alternativi o portare a termine opere di “edilizia leggera” negli istituti. E così, via alla prima deroga: quello che sembrava un punto fermo – e cioè la distanza minima di un metro tra studenti e tra studenti e docenti – non è più fondamentale. Non per i primi mesi almeno, visto che è una concessione temporanea. La definiscono «una soluzione meno peggio» di altre.

Ma si fanno largo i primi interrogativi. Ma come, dicono dalle Regioni, e allora bisognerà tenere la mascherina tutto il tempo in classe? Sì, rispondono dal Cts, se non c’è distanziamento. Se due alunni sono vicini di banco, ad esempio, su la mascherina per tutta la lezione. Altrimenti via: la si indossi solo quando si va al bagno, nei corridoi e durante tutte le situazioni di movimento. Dalle giunte si alzano polemiche – anche politiche – di tutti i tipi.

E poi i dubbi, maligni, sugli enti locali. Ma che fine faranno quei fondi stanziati per il rientro, ben 2,9 miliardi, di cui una buona parte è riservata all’affitto di locali dai privati o alle modifiche degli impianti scolastici? In fondo, se si può vivere senza il metro di distanza per qualche mese, si potrà sopportare anche tutto l’anno. Dal ministero e dal Cts sono certi che gli enti non verranno meno ai loro impegni, che i problemi della scuola hanno urgenza di essere risolti già da anni. Si mettano la mano sul cuore.

La capienza sui mezzi di trasporto

Il nodo di tutti i nodi: i trasporti pubblici. Ingressi scaglionati o ingressi uguali per tutti, poco cambia se non si intensifica la rete della mobilità. Paola De Micheli, ministra delle Infrastrutture, sa bene che non si risolve il dramma in qualche settimana. Giusto ieri, 28 agosto, l’Asst lo ha confermato numeri alla mano. Se vogliamo mantenere l’obbligo di distanziamento sui mezzi, mettetevi l’anima in pace: gli studenti resteranno a piedi.

Il Cts, però, era stato chiaro: non se ne parla di riempire i pullman, i bus, i tram, le metro e i treni senza nemmeno un divisore, di qualsiasi materiale l’Inail voglia che sia. E intanto i presidi aspettano un piano di orari dalle società di trasporti e dagli enti, e le Regioni – sopratutto di centrodestra come Veneto e Liguria – negano categoricamente la possibilità di riorganizzarsi in tempi rapidi.

Allora, magari, si può stare un po’ ammassati, giusto per una quindicina di minuti di tragitto, dice Miozzo in commissione alla Camera. La strada è così spianata per l’altro passo indietro del Cts: via libera alla mobilità al 75-80%. D’accordo, ovviamente, anche De Micheli. Felici le Regioni. Lunedì si metterà molto probabilmente nero su bianco la deroga sulla capienza dei mezzi pubblici. Questa la definiscono una «soluzione estrema». E si tocca ferro.

La tutela dei lavoratori fragili

Il terzo fronte è quello dei lavoratori cosiddetti fragili. Tutto era partito per il meglio durante gli esami di Stato di giugno, quando un’ordinanza aveva concesso ai docenti con problemi di salute o nelle fasce di età a rischio di lavorare da remoto. Lavorare sì, ma a patto che venga tutelato e garantito il diritto alla salute. Per farlo, dal ministero si sono stabilite le figure dei medici competenti, molto simili a quelle pensate per le aziende, che sulla base delle certificazioni dei professionisti di base e degli ambulatori decidono se e come far lavorare personale e docenti.

Ma cosa fare ora che l’obiettivo è tornare il più possibile in presenza? Cosa fare con chi non è idoneo? Mandarlo in malattia anche se abile a lavorare a distanza? Rischiare e fargli mettere una mascherina, al limite una visiera, e via dritto in classe? Tralasciando tutti i docenti con patologie specifiche, c’è da pensare che il 40% degli insegnanti è over 55. Praticamente buona parte di loro avrebbe diritto a temere il Coronavirus come minaccia per la propria vita. Praticamente un’autostrada per il ritorno alla Dad (didattica a distanza) già a settembre.

Dall’ultimo confronto avvenuto ieri, 28 agosto, parrebbe che il Cts sia propenso per un altro compromesso per ridurre le domande di esonero : sì al riconoscimento della fragilità, ma solo per casi gravi come tumori o diabete scompensato, con «presenza di alcune tipologie di malattie cronico degenerative o a carico del sistema immunitario». Al momento è solo un’ipotesi. Ma vista l’antifona, non sembra essere fantascienza.

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