Corte Suprema, parte l’affondo repubblicano per sostituire la giudice Ginsburg: ecco cosa può succedere

Il Gop vuole subito il successore. Nonostante manchino soltanto 45 giorni alle elezioni. Il tempo e i voti ci sono, ma un nuovo scontro è all’orizzonte

Era passata appena un’ora dalla notizia della morte di Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte suprema, e il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, aveva già annunciato che ci sarebbe stato un voto per sostituirla prima delle elezioni del 3 novembre. Poco importa se lo stesso McConnell aveva rifiutato categoricamente di fare altrettanto nel 2016 quando Barack Obama aveva proposto di sostituire il giudice Antonin Scalia, morto 6 mesi prima della gara elettorale e non 45 giorni prima, come invece è accaduto in questo caso.


Questa volta però si tratta di sostituire un giudice liberale, non un iper-conservatore come era stato Scalia, favorevole al diritto di portare le armi, contrario alla sentenza storica Roe vs Wade con cui fu legalizzato l’aborto nel 1973. Per giustificare la sua scelta nel 2016 McConnell aveva citato il diritto del popolo americano di esprimersi in merito alla scelta del giudice tramite le nuove elezioni.


In questo caso invece pare bastargli la fiducia che il popolo avrebbe già riposto nella maggioranza dei repubblicani al Senato e nel presidente Trump: «Gli americani hanno rieletto la nostra maggioranza nel 2016 e l’hanno ampliata nel 2018 perché ci siamo impegnati a lavorare con il presidente Trump e a sostenere la sua agenda, in particolare le sue nomine in sospeso nella magistratura federale».

«Ancora una volta – ha aggiunto, senza apparente ironia – manterremo la nostra promessa». Così facendo ha spalancato le porte alla nomina di Trump ma, soprattutto, a un nuovo scontro tra repubblicani e democratici che potrebbe condizionare anche le elezioni di novembre.

Trump non perde tempo

Il presidente Trump non ha perso tempo. «Siamo stati messi in questa posizione di potere per assumere decisioni per coloro che ci hanno eletto – ha twittato in giornata – abbiamo l’obbligo di farlo senza ritardi». Com’era prevedibile, i democratici sono insorti. Joe Biden ha pronunciato parole molto simili a quelle che lo stesso McConnell aveva detto quattro anni fa: «Non c’è nessun dubbio che spetti all’elettorato scegliere il presidente e al presidente nominare il giudice che poi il Senato sarà chiamato a valutare».

In realtà, però, le regole non sono necessariamente dalla parte dei democratici. Nonostante manchino appena 45 giorni alle elezioni presidenziali, anche se Trump dovesse perdere, avrà tempo fino alla fine del suo mandato – il 20 gennaio 2021 – per nominare un candidato. Il presidente si è già portato avanti: proprio come fece nel 2016, ha pubblicato una lista di potenziali candidati, politicizzando nuovamente la scelta. Inoltre, anche se i repubblicani dovessero perdere il 3 novembre, al Senato avranno tempo fino al 3 gennaio 2021 per valutare un’eventuale nomina di Trump.

Come avvenne nel caso della nomina del giudice conservatore Brett Kavanaugh, il secondo nominato alla Corte Suprema da Trump nel corso della sua presidenza, il processo tramite il quale un giudice viene confermato è piuttosto lungo. Dopo la nomina la commissione giudiziaria del Senato tiene una serie di udienze durante le quali il candidato risponde alle domande dei senatori sul suo passato e, per sondare i suoi orientamenti, anche se una serie di argomenti ritenuti particolarmente rilevanti, come l’aborto. Nel caso di Kavanaugh l’intero processo fu dominato dalle accuse di molestie nei suoi confronti.

Una volta conclusa questa fase si passa al voto dove il candidato deve ottenere la maggioranza semplice per ottenere la nomina. In media l’intero iter dura circa 70 giorni, quindi i tempi ci sono. I repubblicani, che godono di una maggioranza (risicata) di 3 unità al Senato, dovrebbero avere anche i voti per farlo. Il problema, semmai, è se vogliono innescare un nuovo scontro non soltanto nel Congresso ma nell’intero Paese, già provato dall’epidemia di Coronavirus e dalle proteste dopo la morte di George Floyd.

Una nuova “culture war” all’orizzonte

Se Trump dovesse scegliere un giudice conservatore per sostituire Ginsburg, sposterebbe definitivamente a destra gli equilibri all’interno della Corte Suprema, portando la maggioranza conservatrice da 5-4 a 6-3. Si tratta di una scelta che avrebbe delle serie ricadute sulla vita dei cittadini. Non è scontato infatti che il panorama dei diritti nel Paese – per gli immigrati, per i diritti della comunità LGBTQIA+, e per le donne – possa cambiare radicalmente.

Non è neppure da escludere che, come temono molti attivisti, possa essere rivista la legge sull’aborto. Dopotutto, lo scorso anno ha visto diversi stati introdurre misure sempre più restrittive in tema. Ricordiamo per esempio la Heartbeat Bill, introdotta nella Georgia, che ridusse il lasso di tempo in cui è consentito abortire a 6 settimane, fino al “primo battito” del cuore del feto. Tra i nomi più quotati per la successione di Ginsburg c’è la religiosa Amy Coney Barrett, giudice della Corte d’appello a Chicago, la quale ha già dichiarato che, se eletta, sarebbe pronta a ribaltare la storica decisione della Corte Suprema. Un’ipotesi avvalorata da una dichiarazione del presidente il quale ha detto in serata che «molto probabilmente sceglierà una donna».

Nel corso della sua presidenza, Trump ha nominato oltre 200 giudici federali, un record molto apprezzato da conservatori come McConnell, nonché da una parte della sua base. Il presidente sembra non curarsi più di tanto del fatto che l’eventuale nomina di un giudice come Amy Coney Barratt, porterebbe milioni di donne a scendere in piazza per manifestare il loro dissenso. Dopotutto, la maggioranza delle persone degli Stati Uniti è favorevole all’aborto. E, come disse McConnell e come ha ripetuto Biden, ha diritto a scegliere il presidente che nominerà i giudici.

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