Gli Stati Uniti isolati dall’Ue sulle sanzioni all’Iran. E Pompeo attacca il Vaticano sugli accordi con la Cina: «Se firma perde l’autorità morale»
In una mossa di forte rottura con i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e dei suoi alleati, gli Stati Uniti hanno annunciato la reimposizione delle sanzioni contro l’Iran. «Ciò include – ha dichiarato su Twitter il segretario di Stato americano Mike Pompeo – un’estensione permanente dell’embargo sulle armi. Questa è un’ottima notizia per la pace nella regione». Secondo il JCPOA, l’accordo sul nucleare firmato con l’Iran dall’amministrazione Obama nel 2015 e il gruppo dei 5+1 (Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Usa e Germania) l’embargo alla vendita di armi verso l’Iran termina il 18 ottobre 2020. A metà agosto, il Consiglio di Sicurezza ha respinto la richiesta degli Stati Uniti di estendere l’embargo. Washington è riuscita a ottenere solo il sostegno della Repubblica Dominicana in una mossa che la vede sempre più distante dai suoi alleati atlantici. Undici dei 15 membri del Consiglio si sono astenuti, mentre Cina e Russia hanno votato “no” alla risoluzione.
Il “no” dei Paesi europei
Dopo la normalizzazione dei rapporti tra Israele, Emirati Arabi e Bahrain alla Casa Bianca – che più che un tentativo di pace sono stati fin da subito l’ennesimo tassello per rafforzare la strategia anti-iraniana nella regione – gli Stati Uniti, a due mesi dalle elezioni, vogliono provare a chiudere la partita con Teheran. Ma Francia, Germania e Gran Bretagna, in una lettera al Consiglio di sicurezza, hanno sottolineato che lo stop alle sanzioni delle Nazioni Unite all’Iran continuerà, aggiungendo che qualsiasi decisione o azione per reimporle «non avrebbe alcuna base legale».
Le minacce di Washington
Pompeo ha avvertito che «se gli Stati membri delle Nazioni Unite non adempiono ai loro obblighi di attuare queste sanzioni, gli Stati Uniti sono pronti a utilizzare le loro autorità nazionali per imporre conseguenze per tali fallimenti». Ma ci ha pensato l’alto commissario per la politica estera europea, Josep Borrell, a ricordare a Washington che la sua uscita unilaterale dall’accordo nel 2018 non gli permette di «avviare alcun processo per la reimposizione delle sanzioni». Borrell ha chiesto a tutti i firmatari dell’accordo di fare «del loro meglio per preservare l’accordo e per astenersi da qualsiasi azione che possa essere percepita come un’escalation delle tensioni internazionali».
Escalation che nelle ultime ore vede Europa e Stati Uniti ai ferri corti anche sull’accordo tra la Cina e il Vaticano. Su Twitter Pompeo ha voluto sfidare anche la Santa Sede sul rinnovo dell’accordo con il partito comunista cinese: «Se lo firmasse il Vaticano metterebbe in pericolo la sua autorità morale», ha scritto il segretario di Stato. In un editoriale pubblicato sulla rivista religiosa First Things, Pompeo critica l’approccio del Vaticano verso un regime oppressivo, soprattutto alla luce delle proteste a Hong Kong dove la maggior parte della popolazione è cattolica.
La strategia di Biden
Intanto a Teheran si guarda all’elezione del 3 novembre. Così come da Washington che a poche settimane dal voto sembra pronta, dopo la passerella di Donald Trump con i suoi alleati mediorientali e la firma degli accordi di Abramo, a giocarsi un’altra carta per mostrare il pugno duro dell’amministrazione verso l’Iran. Pochi giorni fa era stato lo stesso Joe Biden, tra i promotori dell’accordo sul nucleare come vicepresidente di Obama, ad affermare che «c’è un modo più intelligente di essere duri con l’Iran». Così il candidato alla Casa Bianca aveva svelato la sua strategia per il contenimento di Teheran. Più intelligente, nelle sue parole, di quella adottata dall’amministrazione Trump sempre più isolata a livello internazionale.
Foto copertina: EPA/SHAWN THEW