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Da Zaia a De Luca, la vittoria dei cacicchi. E la tentazione di un Veneto alla bavarese

21 Settembre 2020 - 19:49 Federico Bosco
Il risultato delle regionali promuove leader locali scomodi per i loro stessi partiti. Ma Zaia potrebbe farsi una costola leghista tutta per se

Mentre i dati reali iniziano a confermare i risultati delle elezioni regionali, la partita del Veneto e della Campania si è chiusa rapidamente con la vittoria di presidenti di Regione smaccatamente indipendenti dal partito e dalla politica nazionale: Luca Zaia e Vincenzo De Luca, il primo con un consenso superiore al 70% e il secondo con un risultato vicino al 60% a fronte di un avversario più ostico come Stefano Caldoro.

Anche se “governatore” è un termine non corretto, Zaia e De Luca sono veramente i governatori delle loro regioni, rappresentanti che hanno conquistato nel bene e nel male la fiducia dei loro corregionali. Le loro vittorie bulgare, come per altro la ormai probabile conferma di Emiliano in Puglia e la vittoria di Bonaccini in Emilia a febbraio, disegnano la crescita di figure che si distinguono dalle paludi della politica romana sempre chiusa su se stessa e le sue contraddizioni. Figure che un tempo Massimo D’Alema aveva definito sarcasticamente i “cacicchi”.

De Luca è un politico per molti aspetti controverso, ma lo è anche il territorio che deve gestire. L’ex sindaco di Salerno governa la Campania dal 2015, e fin da prima di conquistare la guida della regione è un personaggio che si distingue senza imbarazzo dalla postura dei suoi colleghi del Partito Democratico, nella forma del linguaggio e nella sostanza dei modi di fare. Non si fa scrupoli se per vincere deve inserire nelle sue liste candidati perlomeno discutibili e di regola non le manda mai a dire.

Ciò nonostante, il suo è un sistema di potere e metodo di governo che ha conquistato la fiducia della maggioranza dei campani. Anche se non viene molto ben visto da una parte del suo partito, De Luca è il governatore del PD più potente del Mezzogiorno, incarnando una figura di politico del Sud assai diversa da quella degli illustri colleghi di partito come il ministro Giuseppe Provenzano e il responsabile dell’economia Manuele Felice, che a suo confronto possono sembrare solo dei “meridionalisti di Roma”. Per il PD nazionale De Luca è croce e delizia, come e più di Michele Emiliano in Puglia, anche lui poco organico al partito romano eppure vincente contro i desiderata della segreteria nazionale.

Sull’altro fronte politico, il risultato del Veneto non è mai stato in discussione, al punto che ci si poteva chiedere ironicamente se valesse la pena spendere denaro per organizzare le elezioni. Zaia conquista la regione nel 2010 e in breve tempo diventa uno dei governatori più stimati in Italia. Durante la pandemia il Veneto è stato colpito duramente, la giunta ha fatto anche degli sbagli e il governatore uscite infelici. Ciò nonostante, gli errori sono stati rapidamente corretti e Zaia ne è uscito come l’uomo giusto al posto giusto (al contrario dei colleghi lombardi).

A differenza della Campania, il Veneto è una regione ricca, moderna e integrata nel sistema produttivo dell’Europa germanica. Anche se le regioni italiane sono quasi tutte molto identitarie, il Veneto può davvero essere considerato un Texas o una Baviera d’Italia, una regione con un cultura indipendentista molto pronunciata (per usare un eufemismo) e i mezzi economici per sostenerla a testa alta.

Un’analisi più attenta della realtà delle cose ridimensiona questa percezione, ma la sostanza rimane, e Zaia è riuscito a incarnarla al punto di conquistare il consenso di un’elettorato che va dall’imprenditore o operaio indipendentista che si rifiuta di scrivere in italiano fino al professionista progressista. Il governatore dei veneti si distingue dalla Lega nazionale di Salvini, in particolare dalle posizioni no euro e sovraniste, e a questo punto bisogna chiedersi se la Lega Veneta (o Liga) ha ancora bisogno della Lega (nord o nazionale che sia).

I numeri parlano chiaro. La lista Zaia ha preso il 47,3% dei voti, la Lega solo il 17%. Nel 2015 era il 23,9% contro il 17,8%. Molti retroscena vedono Zaia come un’insidia per la segreteria di Salvini, ma è difficile pensare abbia intenzione di tornare a farsi carico delle dinamiche di una Lega nazionale cresciuta in maniera ipertrofica e ripresentarsi a Roma. In Veneto ci sono le condizioni per un partito esclusivamente rivolto ai veneti, esattamente come la CSU della Baviera, partito confederato in tutto e per tutto con la CSU ma distinto e indipendente.

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