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Coronavirus in Campania, il direttore del Cotugno: «A Napoli stiamo buttando via gli sforzi fatti finora»

25 Settembre 2020 - 07:38 Giada Giorgi
Regole ignorate e assurdo senso di onnipotenza. Il prof. Di Mauro del Cotugno di Napoli racconta ad Open il difficile momento del picco contagi in Campania

Fa preoccupare la Campania nelle ultime ore. Gli oltre 5mila casi di attualmente positivi a Covid -19 fanno registrare un picco importante, con un incremento nell’ultimo mese vertiginoso. La regione di Vincenzo De Luca si classifica così come la prima d’Italia per nuovi contagi giornalieri da Covid-19 (248) rispetto ai nuovi tamponi effettuati, circa 4.901. Ancora troppo pochi rispetto alle altre Regioni ad alto rischio come Lombardia (22.805) e Lazio (9.112).

E così nella Regione a più alta densità di popolazione del Paese, torna l’obbligo della mascherina anche all’aperto. Un’ordinanza a lungo discussa dall’Unità di Crisi regionale insieme al governatore De Luca, che trova massima condivisione anche da parte del professor Maurizio Di Mauro, dell’Ospedale Cotugno di Napoli. Realtà sanitaria considerata struttura d’eccellenza nel campo delle malattie infettive e della lotta al Covid fin da inizio pandemia.

Professore, cosa sta andando storto in Campania?

«L’allargamento degli argini, questo sicuramente è andato storto. Prima dell’estate eravamo riusciti a tenere la Campania quasi in una condizione di Covid free, con pochissimi contagi nonostante l’altissima densità di popolazione. Poi è arrivata l’estate e l’atteggiamento di altissima irresponsabilità mostrato soprattutto dai giovani nei locali e nelle piazze ha continuato a verificarsi anche in località estere ad alta quantità di contagio, anticipando quello che solo in parte ci immaginavamo per il periodo autunnale».

Si deve parlare dunque ancora di strascico da vacanzieri?

«Purtroppo non più ed è quello il punto più grave. Non possiamo più parlare di casi di importazione ma di focolai autoctoni. Mentre nella fase del rientro i giovani venivano intercettati con una strategia mirata al tracciamento viaggiatori, ora i contagi sono sul territorio. Adesso i nonni, i genitori, i parenti si fanno moltiplicatori ulteriori di una trasmissione che non sembra arrestarsi e di cui sono molto preoccupato».

Chi si sta comportando peggio?

«Tutti purtroppo, nessuno escluso. Vivo l’ospedale e vivo anche la città, sarei un ipocrita se in questo momento non le dicessi che c’è un grande senso di irresponsabilità da parte dei cittadini. Non stanno osservando alcuna regola. Né di distanziamento, né di mascherina, né di sanificazione, nulla. E considerata la densità degli abitanti il rischio è doppio rispetto a qualsiasi altra regione d’Italia.

Dire che sono arrabbiato è un eufemismo, è troppo poco. Stiamo vanificando tutto il lavoro degli operatori sanitari che in prima linea per mesi hanno corso, si sono contagiati e sono anche morti. La leggerezza che vedo nei bar o nelle strade suggerisce un senso di onnipotenza da parte delle persone che mi sembra assurdo».

La giunta regionale ora interviene con ulteriori restrizioni, costretta purtroppo a un passo indietro. Una strategia di gestione che ha funzionato a metà?

«Credo che quello che finora in Campania si è riusciti a fare è stato miracoloso, e lo dico da infettivologo e da semplice operaio della sanità quale mi ritengo. Essere riusciti per mesi ad arginare e tenere sotto controllo un virus a così alta velocità di trasmissione, in una regione come la Campania, non può essere considerato scontato e questo è merito anche della strategia adottata.

Basti pensare al tracciamento di tutti i vacanzieri asintomatici, se avessero circolato liberamente avrebbero generato una catastrofe. L’unico elemento che mi sento di rimproverare è quello del controllo. Possiamo emanare altre dieci ordinanze ma se le forze addette a controllare che le regole vengano rispettare non vengono messe in campo in modo adeguato, sarà difficile non fare gli stessi errori. Questa è sicuramente una criticità di gestione del territorio che ha condizionato gran parte del periodo estivo e quello che ora la Regione è costretta a vivere».

Il ritorno alle mascherine anche all’aperto ci riporta a qualche tempo fa, si sta andando incontro al rischio di nuova chiusura totale?

«I presupposti purtroppo ci sono. Ovviamente mi auguro di no e credo che l’ordinanza della mascherina possa essere un buono strumento per arginare questa crescita preoccupante. Così anche come le regole per pub e locali. I morti continuano ad esserci, anche di 40 anni. E i posti letto del Cotugno si riempiono in maniera molto più rapida. Siamo pronti a tutto ma se si collabora riusciamo ancora a salvarci da un forte pericolo».

A proposito di posti letto, la Regione ha deciso anche per l’attuazione della cosiddetta Fase C: l’incremento dei posti nei reparti, attualmente 700 in tutto, e che dovranno aumentare. Quante persone ricoverate per Covid ci sono attualmente al Cotugno di Napoli?

«Abbiamo messo a disposizione posti letto secondo la programmazione regionale e si sono andati riempiendo in modo molto rapido raggiungendo attualmente più di 70 persone ricoverate. Di queste, 16 sono in sub intensiva e ventilati, 8 in terapia intensiva di cui 3 incubati. Tra 7 giorni ci sarà la conversione di un’ala dell’ospedale per accogliere i possibili casi di Covid per un totale di nuovi 140 posti letti. Cercheremo di fronteggiare l’ondata al meglio, se dovessi rendermi conto che ne occorrono 200, convertirò in posti Covid tutto quello che ho.

Al netto di questo devo dire che per fortuna si sono aggiunte anche altre strutture territoriali alla rete, come il Covid center dell’Ospedale del Mare, quello di Scafati e di Salerno. Esiste una rete che permette al Cotugno di non sentire il peso di cui ha sofferto tempo fa».

La rissa davanti l’ospedale tra quelli che aspettavano di fare il tampone è però di due giorni fa. La paura aumenta e le forze per garantire i tamponi forse ora chiedono un potenziamento.

«Senza dubbio, il panico è diffuso e le Asl tardano a dare risultati in tempi brevissimi. Per cui le persone si affollano davanti alla struttura ospedaliera sapendo di avere risposte più rapide e un servizio sicuro. Il problema è che con i nuovi numeri questo non è più possibile. Ho deciso per questo da ieri di effettuare i tamponi solo alle persone sintomatiche rilevate dal pronto soccorso, come ospedale dobbiamo occuparci di accogliere i malati. Per le attività screening è il territorio a dover intervenire e dare sostegno strutturato».

Poco più di 4mila nuovi tamponi effettuati in tutta la Regione, non annovera anche questi numeri alle possibili falle nel sistema di tracciamento?

«Mi sento di rispondere negativamente a questa lettura. La strategia che è stata adottata ha funzionato anche in virtù dei casi che a giugno non avevano superato i 5mila su 6milioni di abitanti. I focolai venivano immediatamente smorzati. Non è questa la chiave, se si considera il lavoro finora fatto.

Oggi in un momento in cui la condizione di trasmissione è differente, siamo consapevoli della necessità di potenziare anche i tamponi. Attualmente viaggiamo con 7-8 mila test al giorno, abbiamo raggiunto ampiamente i 100mila tamponi totali effettuati. Ma la causa principale della nostra si spera momentanea disfatta è stata purtroppo la possibilità di uscire in vacanza, di frequentare posti affollati, di alleggerirsi dagli impegni e le costrizioni. Una possibilità che si è tradotta in irresponsabilità».

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