Coronavirus, i numeri in chiaro. L’infettivologa Taliani: «Al Centro Sud improvviso aumento dei casi: come al Nord a inizio pandemia»

di Riccardo Liberatore

Tutto dipende da come ci comporteremo nelle prossime settimane. «Non è che più tamponi limitano la circolazione del virus: il nostro comportamento resta cruciale»

I dati del bollettino della Protezione Civile dicono che l’epidemia di Coronavirus non rallenta, anzi. I contagi, +5.724 nuovi casi oggi e +5.372 ieri, non aumentavano così velocemente da fine marzo, anche se oggi vengono fatti più tamponi. Rispetto ad allora la situazione nelle terapie intensive è meno preoccupante: complessivamente non sono ancora a rischio sovraffollamento, ma ci sono delle aree più critiche. A Roma, per esempio, cento pazienti sono stati trasferiti in albergo, mentre in Campania oltre la metà dei posti disponibili in terapia intensiva risultano occupati. Il Sud, che è riuscito a proteggersi dall’epidemia nella prima fase grazie al lockdown, adesso sembra essere pronto ad esplodere. Secondo Gloria Taliani, infettivologa e ordinaria di Malattie Infettive all’Università la Sapienza di Roma, il Centro Sud sta vivendo una situazione che assomiglia per certi versi quella vissuta dal Nord all’inizio della pandemia.


Professoressa, peoccupa l’aumento nei contagi al Sud, in particolare in Campania. Quali sono le sue previsioni?


«È difficile dirlo, perché è chiaro che l’andamento dipende dal nostro comportamento. La situazione sembra tragica nel Lazio, ma devo dire che la percentuale dei contagi nella popolazione è anche peggiore in alcune città del Nord come Brescia e a Bergamo di quanto non sia al Centro. La previsione dipende da quello che ciascuna regione in funzione dei propri numeri metterà in campo. Il dato certo è che complessivamente le percentuali di positività sui tamponi che vengono eseguiti giornalmente sono state più o meno stabili fino all’inizio di ottobre. Poi hanno cominciato a crescere».

In Lombardia le terapia intensive non sono in crisi come in Campania o nel Lazio.

«Quello che fa la differenza è che città come Cremona – tra le più virtuose attualmente – non hanno visto negli ultimi mesi un vero calo nei contagi: qui, mentre il tasso sulla popolazione è più elevato, la curva è costante. A Napoli invece fino alla fine di agosto il virus non era molto presente: da allora i casi sono aumentati velocemente. Questo potrebbe ingolfare gli ospedali, perché improvvisamente si trovano davanti a migliaia di casi tutti insieme: è un po’ quello che si è verificato al Nord all’inizio della pandemia. Questo fa pensare che è il problema sia a monte, nella difficoltà di mantenere sotto controllo un fenomeno che cova stabilmente sotto la cenere».

Cosa si dovrebbe fare adesso? Aumentare il numero dei tamponi è utile?

«Non è che facendo più tamponi limitiamo la circolazione del virus: solo il nostro comportamento ne argina la diffusione. Città come Cremona o Piacenza – che mantengono un ritmo costante di crescita, più lento – dimostrano come il comportamento delle persone resti un fattore fondamentale. Se chi lavora in ospedale non si infetta, evidentemente è possibile proteggersi. Dobbiamo essere prudenti».

I casi comunque sono in aumento in tutta Italia. Quanto ha inciso il boom nei tamponi negli ultimi giorni?

«Quello che conta è la percentuale dei positivi sul numero di tamponi fatti. E questa percentuale è chiaramente in crescita. Se il trend di positivi sui nuovi tamponi si mantiene costante, vuol dire che la frequenza con cui troviamo dei positivi non è aumentata. Fino al 6 ottobre la crescita era dello 0,1% al giorno, ma dal 7 ottobre siamo passati allo 0,2% e poi è andata aumentando fino e oltre allo 0,3%: questo ci fa pensare che su scala nazionale il virus cresce. Ma abbiamo visto che ci sono alcune realtà – forse meno preparate – ad accendere questa fiamma».

Con oltre 5mila positivi al giorno, diventerà impossibile tracciare tutti i contatti?

«Sì. E questo fatto serve a ribadire l’importanza della protezione: se i paucisintomatici, i pre-sintomatici e gli asintomatici non si distanziano, disseminano il virus. Da qui nasce l’assoluta necessità di avere dei comportamenti virtuosi».

Nonostante l’aumento nei casi, i decessi sono di meno rispetto a marzo. Questo perché la seconda ondata non è ancora cominciata?

«Difficile da dire. Certo è che il paziente che arriva in ospedale con la malattia acuta oggi viene intercettato precocemente e probabilmente l’uso sistematico (nelle condizioni indicate) dello steroide e del cortisone insieme ai quei casi dove è indicato l’uso dell’antivirale, fanno sì che il paziente non progredisca nella fase avanzata della malattia. È la capacità di intercettare bene il paziente, con un controllo attento del territorio e dei sintomi, che ha permesso di mettere in atto quelle poche terapie che abbiamo ma che, se usate bene, sono utili a modificare il decorso della malattia».

Siamo alla vigilia della partenza delle campagne vaccinali. L’influenza ci rende più vulnerabili al Coronavirus?

«Questo non lo sappiamo con certezza, ma in linea di principio è più plausibile che la presenza simultanea di due malattie – Covid-19 e influenza – sia possibile. Ed è chiaro che nessuno vuole ammalarsi due volte o contemporaneamente. L’unica cosa ragionevole da fare è prevenire quella che attualmente possiamo prevenire».

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