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Coronavirus, i numeri in chiaro. L’infettivologa Taliani: «Forse la situazione non è così drammatica»

16 Ottobre 2020 - 22:03 Giulia Marchina
Secondo Taliani il dato da prendere in considerazione è quello delle terapie intensive. Al momento sono 638, molto lontane dai picchi toccati nella prima ondata

L’Italia oggi ha sfondato il muro dei 10mila contagi. Secondo i dati diffusi dalla Protezione civile sono precisamente 10.010 i nuovi casi di contagio da Coronavirus registrati nelle ultime 24 ore. Il numero delle nuove vittime è di 55 da ieri, e porta il totale a 36.427. Sono 107.312 gli attualmente positivi in tutto il Paese. Ci sono poi 638 persone in terapia intensiva in questo momento – ieri erano 586, due giorni fa 539+52 in 24 ore. Superata la soglia dei 100.000 anche per chi è in isolamento domiciliare (100.496).

Il quadro non è incoraggiante, tanto che domattina alle 10 il premier Giuseppe Conte ha convocato una riunione d’urgenza della maggioranza di governo con i capi delegazioni dei partiti e ministri competenti. Tuttavia, secondo Gloria Taliani, infettivologa e ordinaria di Malattie Infettive all’Università la Sapienza di Roma, «non siamo messi male per niente».

Cosa si può leggere davanti ai dati rilevati oggi dalla Protezione Civile?

«Se facciamo una valutazione dei dati in senso assoluto sulla quota dei pazienti domiciliari rispetto ai ricoverati, su base nazionale le aspettative non sono delle più rosee ma non siamo neanche messi malissimo. Anche il dato dei pazienti in terapia intensiva (638) ci dice che il danno – rispetto ai mesi di marzo e aprile – è molto limitato. Nel picco massimo, infatti, eravamo arrivati a conteggiarne 4mila. Oggi ne abbiamo un decimo. E soprattutto nei picchi storici avevamo 29mila pazienti ricoverati e oggi sono 6mila. A rimanere costante è la quota dei domiciliati».

Difficile si possa evitare e un’ulteriore impennata dei contagi…

«È proprio da escludere. Il trend è in crescita, c’è un oggettivo accorciamento dei tempi relativo all’aumento numerico di nuovi positivi. Una volta che il virus comincia a circolare, è complicato fermarlo, ma questo lo sapevamo».

Siamo di fronte a uno scenario come quello della primavera passata?

«La quota frazionata dei pazienti gravi è molto contenuta e la stessa cosa vale per i pazienti ricoverati. Dunque direi di no».

Quali sono i dati nuovi?

«Quello che è interessante sono i nuovi casi di contagio in funzione della distribuzione nelle province italiane. Il picco massimo di nuovi positivi per 100mila abitanti oggi lo abbiamo ad Aosta e Genova. Le analogie sono nulle perché i territori sono differenti. Ci sono poi però le province di Padova, Rovigo, Ferrara e Ravenna: tutte vicine, con simile esposizione ambientale e con una percentuale di incremento dissimile. Una questione scientificamente molto intrigante. Lì dove c’è una forte disparità di nuovi casi gioca un ruolo fondamentale l’assiduità sorveglianza. Penso a Crotone che ha conteggiato zero nuovi positivi: un dato singolare, è plausibile non facciano abbastanza test».

E le terapie intensive?

«Ecco, quello è un altro dato interessante, bizzarro se vogliamo. L’effetto della crescita nelle rianimazioni è del 12,6% in Emilia-Romagna e 10,3% in Sicilia. Contro l’8% nel Lazio. In Lombardia addirittura il dato non è in fase di incremento ma di riduzione dell’1,4%: la stessa regione registra un incremento del 12% dei ricoverati. Questo per dire che stavolta i pazienti sembrano molto più gestibili, i casi paiono meno gravi».

«Lockdown a Natale»: è d’accordo con l’affermazione di qualche giorno fa del professor Crisanti?

«Non mi ci rivedo molto. Se a Natale avremo bisogno del lockdown significa che non abbiamo lavorato bene adesso. Perché bisogna proiettarsi già al periodo natalizio, preferisco pensare a quello che c’è da fare domattina: essere rispettosi delle regole è il primo passo».

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