Due mesi per organizzare lezioni in presenza, 24 ore di tempo per passare alla didattica online: la sfida (impossibile) delle scuole

di Giada Ferraglioni

Gli Uffici scolastici regionali confermano che è in corso una lotta contro il tempo per presentare e applicare i piani di riorganizzazione. Ecco le testimonianze di presidi e studenti

Due mesi di lacrime e sangue per organizzare la didattica in presenza e una manciata di ore per ripartire con quella a distanza. Le nuove disposizioni della presidenza del Consiglio per contenere i contagi di Coronavirus hanno travolto i presidi, che dopo un’estate di lavoro per garantire il distanziamento fisico in classe – comprese le commesse dei banchi monoposto – , si sono visti piombare di nuovo tra capo e collo la chiusura. Come stabilito dal nuovo Dpcm, a partire da oggi, 27 ottobre, fino al 24 novembre, la percentuale concessa di didattica in presenza alle superiori passerà dal 100% al 25%.


La circolare inviata dal capo dipartimento Marco Bruschi parla chiaro: ieri, 26 ottobre, bisognava depositare il piano di riorganizzazione, così da far partire da oggi la didattica integrata. I dirigenti scolastici stanno aspettando le indicazioni degli Uffici scolastici regionali, che dovrebbero fornire gli estremi precisi su come riorganizzare le lezioni. Ma gli stessi Usr hanno confermato che è in corso una lotta contro il tempo. L’umore non sembra essere dei migliori e lo sconforto di dover buttare all’aria settimane di lavoro si fa largo.


I dati sulla Dad

Già ad agosto i dirigenti scolastici erano stati chiamati a stilare dei piani di didattica integrata secondo le linee guida fornite dal Ministero dell’Istruzione. Il rischio di messa in quarantena di classi o interi Istituti aveva visto la necessità di pensare a un’alternativa alle lezioni in presenza. E proprio sulla didattica a distanza il Ministero era intervenuto a più riprese (nonostante la ministra Lucia Azzolina avesse puntato tutte le sue fish sul rientro in classe): durante i mesi di lockdown erano stati erogati fondi per l’acquisto di più di 432 mila dispositivi e oltre 100 mila chiavette internet, che si univano ai fondi del Dl Rilancio – destinati all’inizio agli igienizzanti e poi riconvertiti (circa un centinaio di migliaio di euro). Negli ultimi 3 anni, inoltre, risulta che le scuole abbiano comprato 1 milione e 200 mila dispositivi elettronici.

Ma i problemi restano tuttora. Tra questi, ce ne sono soprattutto due: da una parte il piano per la didattica integrata era previsto in consegna per fine ottobre, da inserire nell’offerta triennale formativa. Alcuni istituti rimasti indietro stanno in queste ore mettendo a punto un piano rapidamente col rischio di non fare al meglio. Dall’altra, imporre la didattica al 75% significa che numerosi docenti saranno costretti a dividersi tra presenza e distanza. Per non fare avanti e indietro tra casa e scuola, è necessario che gli istituti abbiano device e connessioni adeguate per far lavorare i professori in sede. E non per forza è un procedimento immediato: anche se dal Ministero comunicano percentuali del 93% di aule con connettività Wifi (nel 2013 era al 35%) e del 71,9% di classe adeguate alla didattica digitale, non sempre si parla di connessioni veloci e stabili.

Nuova emergenza, vecchi problemi

«Avevamo fatto lavoro enorme per adattare le scuole al ritorno in classe, con tutti i ritardi del caso e i compromessi che ci hanno imposto», dice la dottoressa Monica Fontana, preside dell’Iss Brunelleschi Da Vinci di Frosinone. «Abbiamo lavorato freneticamente, perché il mantra era tornare in classe e mantenere le distanze. E ora sembra che lo abbiamo fatto per nulla». Per ora, la strategia più immediata e sensata che sono riusciti a mettere sul tavolo è quella di prevedere le lezioni in presenza solo per il biennio.

«Le attuali seconde sono state le più penalizzate, avendo fatto il primo anno a distanza», spiega. «Per questo per ora abbiamo scelto di muoverci così. Ma speriamo che sia una situazione d’urgenza che finirà a novembre». Nel Lazio, dove ci si stava già organizzando per la didattica al 50%, spuntano vecchi problemi di connettività. Ogni scuola ha bisogno di prevedere delle postazioni fisse dove far lavorare i docenti, «che magari abitano a decine di chilometri dalla scuola e non possono tornare a casa per fare lezione online». Ma non tutti gli istituti sono riusciti a stare dietro alle tempistiche.

Il dottor Giorgio Galanti, preside del Liceo Classico Tito Livio di Milano e dell’Istituto comprensivo Trilussa di Quarto Oggiaro, è ancora alle prese con l’adeguamento. Ma non perché non fossero arrivati in tempo con il piano di didattica integrata, piuttosto perché il mix ordinanza regionale della Lombardia e Dpcm ha complicato ancora di più l’organizzazione. Il Tito Livio contiene anche un liceo coreutico, che impone un’organizzazione più complessa delle lezioni e dei laboratori.

«Avevamo un piano di didattica integrata che finora funzionava benissimo», dice. «Poi abbiamo dovuto adeguarlo alle linee guida ministeriali dettate dalla Covid-19 e avevamo raggiunto un equilibrio del 65%: le classi venivano lasciate a casa a rotazione, in modo da non sacrificare nessuno». Una riorganizzazione, dice, che era costata uno sforzo immane. «Nessuno di noi ha fatto un giorno di pausa per lavorare al rientro e ora si butta tutto all’aria a colpi di Dpcm».

Non che i presidi si fossero illusi che sarebbe andato tutto bene, certo. Ma la cosa che più fa rabbia, dicono, è dover sacrificare tutto a causa di un problema extrascolastico: i trasporti. «È evidente che chiudiamo le scuole perché non siamo riusciti a programmare i trasporti», dice la preside Fontana. «Se io dispongo ingressi scaglionati ma c’è solo un autobus che mi porta a scuola.. allora è chiaro che si assembreranno tutti. Gli enti locali dovevano sedersi con noi e con le aziende dei trasporti. Ma così non è stato e ora a pagare sono gli studenti».

Le preoccupazioni degli studenti

E proprio loro, infatti, sembrano essere tutt’altro che felici di questo passo indietro improvviso. Ludovico, rappresentante d’Istituto del Liceo Scientifico Einstein di Milano, racconta che il ritorno alla Dad è tutt’altro che una buona notizia. «Da noi questa scelta non è stata presa bene», dice a Open. «Ti bruci gli occhi per 6 ore di fila davanti al computer e spesso i ragazzi e le ragazze sono costretti a spegnere la telecamera perché sono in camera con i fratelli, oppure hanno i familiari in giro». Il passaggio all’online è stato accolto male anche a causa dei numeri bassi del contagio: nonostante ci fossero state pochi casi di positività, il peggio non si è riuscito a evitare ugualmente. E il «disagio psicologica» è ormai alle stelle.

Immagine di copertina: ANSA/ MATTEO CORNER

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