Mettere in lockdown gli anziani? Non è un’opzione epidemiologica né costituzionale

di Giada Ferraglioni

Si fa largo il fronte di chi propone un isolamento destinato solo a certe fasce di età. Ma se l’opzione non è mai stata presa in considerazione ci sono motivi reali

Qualcuno li ha definiti la parte «non indispensabile allo sforzo produttivo del Paese». La stessa voce – quella di Giovanni Toti, che poi si è scusato – si è unita a quella del presidente della Lombardia Attilio Fontana e del presidente del Piemonte Alberto Cirio nel proporre un’isolamento della popolazione più anziana. L’idea è molto chiara: non fermiamo un intero Paese con un lockdown generale, e lasciamo a casa piuttosto gli over in pensione. Che, tra le altre cose, hanno più probabilità di essere uccisi dal Coronavirus.


In realtà il ragionamento, come è sempre più evidente, è principalmente di natura economica. La chiusura parziale è mirata a promuovere una convivenza con il virus che non sacrifichi la performance produttiva dell’Italia. L’evidenza deriva da una semplice premessa: nonostante il dibattito sia esploso solo ora a livello mediatico e politico, quella di una chiusura su base anagrafica era già stata valutata, e scartata, dai virologi e dagli esperti che hanno gestito le prime due fasi dell’emergenza. Ma perché?


Punto uno: abbiamo una Costituzione. La Fondazione Bruno Kessler, che si era occupata di stilare nella prima fase un documento utile ad affrontare le riapertura post lockdown, non aveva preso in considerazione nei suoi calcoli alcun tipo di misura restrittiva per i più anziani – non si sa bene se over 60, over 70 o over 75. Un’indicazione del genere, infatti, essendo incostituzionale, non poteva essere contenuta in nessuna legge.

Come scritto nell’articolo 3 della nostra Carta, l’Italia riconosce il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione a tutte le persone che risiedono nel territorio nazionale: si può certo raccomandare caldamente alle persone più fragili di non esporsi a rischi evitabili, ma non disegnare obblighi destinati a singole categorie di cittadini.

Punto due: la strategia è inefficace dal punto di vista epidemiologico. Nel monitoraggio dell’Istituto superiore di sanità è spiegato che, davanti a un indice Rt superiore all’1,25 in tutte le Regioni, le cose sono destinate ad andare sempre peggio (verso lo scenario 4). Una deriva segnata dai dati, a meno che non si riesca a proteggere gli anziani ed evitare, così, l’affollamento dei reparti ospedalieri.

Ma se una stretta maggiore in questa direzione avrebbe potuto avere un suo senso contenitivo nella prima ondata, allo stato attuale delle cose la proposta rischia di essere velleitaria. È opinione diffusa tra i virologi – e anche tra gli studiosi che hanno analizzato la proposta, come Matteo Villa dell’Ispi – che sia quasi impossibile evitare che gli anziani entrino in contatto con il virus. A dimostrazione dell’improbabilità dell’efficacia, c’è la nuova ondata di focolai nelle Rsa.

Il caso delle Rsa

I cluster della prima fase, da questo punto di vista, ci parlano relativamente. Ci si era trovati impreparati all’urto del Coronavirus e, nonostante siano stati fatti errori anche gravi (come la delibera regionale della Lombardia e del Lazio che ha disposto il trasferimento dei malati dagli ospedali ad alcuni reparti delle Rsa), è difficile dividere in maniera netta le responsabilità.

Tra i dati raccolti da Milena Gabanelli, Mario Gerevini e Simona Ravizza per il Corriere della Sera – dove sono messe in luce le mancanze strutturali dietro al fallimento sanitario nelle Rsa – c’è comunque un numero che resta eloquente: durante i primi 4 mesi della pandemia, il 40% dei decessi avvenuto nelle residenze per anziani è attribuibile alla Covid-19

E ora, nell’ottobre rosso della nuova ondata, i focolai si sono ripresentati implacabili. Uno dei casi più eclatanti è quello della Rsa Mazzini di La Spezia, in Liguria, dove tutti gli ospiti (50) sono risultati positivi al virus e il 30% del personale è stato contagiato. Accanto alle possibili leggerezze della gestione da mettere in conto, per contagiare un anziano vulnerabile basta un medico asintomatico negli ospedali o un operatore sanitario inconsapevolmente positivo nelle strutture di residenza.

O anche un parente contagiato che si reca a casa loro per portare la spesa o per dare una mano. L’unico modo per salvarli, insomma, sarebbe rinchiuderli in una cella d’isolamento. Opzione che, per fortuna, nessuno sembra aver avuto il coraggio di proporre.

Foto copertina: EPA/DUMITRU DORU

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