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Dalla veterana della Fed all’ambasciatrice coraggiosa, tutte le donne della presidenza Biden-Harris

01 Dicembre 2020 - 07:28 Cristin Cappelletti
Lo staff della comunicazione è interamente femminile ma anche i primi nomi confermati dell’amministrazione rivelano una squadra con molte donne nelle posizioni chiave. Finalmente

Sono sette i ruoli che andranno e coprire il team comunicazione della Casa Bianca e dell’amministrazione Biden. Sette donne i cui nomi sono stati resi noti scorsa domenica dal presidente e dalla vicepresidente eletti. Parlando della pandemia di Coronavirus, Kamala Harris ha detto che per superare queste difficoltà «abbiamo bisogno di una comunicazione chiara e trasparente. E questa squadra esperta, talentuosa e capace di infrangere le barriere ci aiuterà a farlo». La nuova portavoce della Casa Bianca sarà Jen Psaki (che nella bio di Twitter si definisce “mamma di due bambini under 5”) che ha già occupato molti ruoli nell’amministrazione Obama, tra cui quello di direttrice della comunicazione della Casa Bianca. Ruolo per cui Biden ha scelto invece Kate Bedingfield, in passato vicedirettrice della campagna del democratico.

Saranno occupate da donne anche i ruoli di portavoce e direttrice della comunicazione di Kamala Harris: Ashley Etienne e Karine Jean-Pierre. Sarà una donna anche la prossima direttrice del Dipartimento del Tesoro, Janet Yellen, veterana della Fed. Nel gabinetto economico della futura amministrazione entrano anche Neera Tanden, direttrice dell’Office of Management and Budget, e Cecilia Rouse, a capo del Council of Economic Advisers. Ma i due nomi che più hanno fatto parlare negli ultimi giorni, sia per la svolta storica, che per le loro esperienze passate, sono quelli della prossima ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Linda Thomas Greenfield, e della direttrice dell’intelligence nazionale Avril Haines.

Una pistola alla tempia nel Ruanda

La prima è cresciuta in Louisiana, in una città segregata dove il Ku Klux Klan bruciava regolarmente croci nei cortili delle famiglie afroamericane. Entrata nel 1982 nel Servizio Estero, dopo aver frequentato nei primi anni ‘70, non senza difficoltà la Louisiana State University, da lei definita un ambiente ostile, ha servito poi come direttrice generale del Servizio Esteri. Durante l’amministrazione Obama ha ricoperto il ruolo di ambasciatrice in Nigeria e poi diversi incarichi diplomatici in tutto il mondo: dalla Svizzera al Pakistan. Ma nei suoi 35 anni di servizio, il suo ricordo più vivido, quello che l’ha segnata di più, come da lei raccontato in una TED Talk, è stato in Ruanda. Durante un viaggio diplomatico nel 1994, all’epoca degli atti di genocidio, Greenfield fu fermata da un soldato che le puntò una pistola alla tempia.

«Lo guardai negli occhi e gli chiesi il suo nome, io gli dissi il mio – racconta Greenfield – perché se mi avesse ammazzata volevo si ricordasse il nome della persona che aveva ucciso». Nata e cresciuta in una comunità e in una scuola segregate ha raccontato che il più grande insegnamento di suo madre è stato quello di mostrare compassione e gentilezza nei momenti di difficoltà: «È questo che ti fa superare le avversità». Nel 2017 l’allora segretario di Stato Rex Tillerson provò ad espellerla dal dipartimento di Stato, lei decise così di andare in pensione per poi entrare successivamente a far parte del Gruppo Albright Stonebridge come vicepresidente senior.

Da una libreria di Baltimora al Dipartimento di Stato

Una storia opposta, più nei particolari che nella tenacia, a quella di Avril Haines, la futura direttrice dell’intelligence nazionale. Nata nel 1966 nell’Upper West Side di New York, Haines perde la madre a 16 anni dopo averla assistita per quasi un decennio a seguito di un enfisema cronico che indebolì i suoi polmoni. Dopo aver rimandato il college e aver vissuto per un breve periodo in Giappone, dove ottiene la cintura marrone di Judo, Haines tornò negli Stati Uniti. Decise così di seguire la passione trasmessa dai genitori – la madre, scienziata e poi pittrice, il padre biochimico – e si iscrive alla facoltà di fisica teorica. Per mantenersi gli studi lavora in un’officina, e due anni dopo frequenta lezioni di volo a Princeton, nel New Jersey. Qui si innamora del suo istruttore di volo, David Davighi, che poi diventerà suo marito.

Nel 2013, Barack Obama la nomina vice direttrice della CIA, diventando così la prima donna ad assumere tale incarico. Ma fino all’età di 30 anni Haines non aveva avuto alcun interesse né esperienza in materia di politica estera e intelligence. Una volta trasferita a Baltimora, nel 1992, con l’idea di perseguire un dottorato in fisica all’università Johns Hopkins, decide invece, insieme al compagno, di aprire una libreria, la Adrian’s Book Café, dal nome di sua madre. È lavorando con le comunità del quartiere che decise di iscriversi, nel 1998, alla facoltà di legge della Georgetown Law School scoprendo presto una forte passione per i diritti umani e il diritto internazionale. Nel 2003, dopo essere entrata come legale al Dipartimento di Stato, viene anche assegnata alla commissione affari esteri del Senato, allora presieduta da Biden.

Le torture della Cia e i droni di Obama

Tra i suoi incarichi più controversi c’è quello che l’ha vista coinvolta nel contenzioso tra la CIA e la commissione intelligence del Senato. Il Congresso aveva avviato un’indagine sulle torture di guerra usate dai servizi segreti negli anni di Bush, torture che il Congresso sospettava fossero molto più brutali e estese di quanto dichiarato. Per paura di ripercussioni l’Agenzia ordinò di spiare il Congresso. Haines riuscì a contrattare per una pubblicazione in forma ridotta del report finale e di impedire che fosse aperta un’indagine interna alla CIA. Un altro ruolo che la portò al centro delle politiche estere americana risale a quando lavorò come vice consigliera legale della Casa Bianca, sotto l’amministrazione Obama, in tema di sicurezza e intelligence.

Sarà lei, dopo anni di lavoro, a ridefinire la politica americana lanciata Obama che vedeva l’impiego di droni per colpire e uccidere target terroristici specifichi, soprattutto in Medio Oriente. A causa dell’alto numero di morti civili, Haines lavorò per limitarne l’impiego e nel 2013 presenta una nuova regolamentazione, la Presidential Policy Guidance che, secondo Newsweek, Haines riuscì a portare a casa grazie una «massiccia opera di volontà, a un’abile diplomazia e una cronica deprivazione del sonno». In particolare, per Haines era necessario che ci fosse la certezza che l’obiettivo dell’attacco fosse un obiettivo legale e che nessun civile sarebbe stato coinvolto.

Una scelta bipartisan

Il suo ruolo di avvocato, la sua attenzione al diritto internazionale, le portò non poche critiche al momento della sua nomina alla vice direzione della Cia. Per molti, la sua formazione legale l’avrebbe portata a limitare molto le azioni dell’Agenzia. Critiche prontamente smentite dalla sua capacità di lavorare in stretta sintonia con il direttore Brennan che si affidò a Haines per ogni decisione in materia di antiterrorismo quando era a capo della sezione alla Casa Bianca. Ora, ad Haines, scelta bipartisan, visto il suo lavoro sia nell’amministrazione Bush che in quella Obama, le critiche arrivano dall’ala più a sinistra del partito democratico che sperava in un cambiamento più radicale con l’establishment del passato. 

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