Giovani e donne vittime della Cig Economy, un disastro annunciato

Il congelamento del mercato del lavoro ha aumentato il divario tra chi era già tutelato e chi era precario. Serve un piano di politiche attive

Sta facendo molto rumore il rapporto del Censis 2020 con il quale trova conferma un fatto che abbiamo più volte denunciato qui su Open: le misure sul lavoro approvate per fronteggiare la pandemia hanno rafforzato il “muro” che separa i lavoratori muniti di tutele giuridiche ed economiche adeguate da quelli che vivono una condizione lavorativa precaria.


Il congelamento del mercato del lavoro: da pronto soccorso a misura strutturale 

Appena scoppiata la pandemia da Coronavirus, il Governo ha adottato una strategia di congelamento del mercato del lavoro del tutto comprensibile: di fronte alla più grande crisi sanitaria degli ultimi cento anni, la scelta di sospendere la facoltà di licenziare per motivi economici i dipendenti, seppure fortemente limitativa della libertà di impresa, è risultata appropriata rispetto alla gravità del momento. Allo stesso modo, la previsione di una cassa integrazione universale, destinata a tutti senza vincoli di requisiti o di motivazione, è da subito parsa la strada giusta per affrontare l’emergenza.


Il problema di queste misure è che hanno cambiato natura nel corso dei mesi successivi: invece di essere interventi di “primo soccorso”, sono diventare la ricetta strutturale con cui il nostro Paese affronta le conseguenze occupazionali della pandemia. Si è costruito, in questo modo, un sistema di CIG Economy che ha completamente congelato il mercato del lavoro: le imprese non possono licenziare nessuno, i lavoratori che non hanno più mansioni per via della pandemia sono collocati in cassa integrazione, e di conseguenza il mercato del lavoro viene messo in una situazione di apparente equilibrio.

Un prezzo pagato dagli “invisibili”

Equilibro che ha un prezzo altissimo, pagato dagli “invisibili” del mercato. Il divieto di licenziamento non si estende (e non può estendersi) ai precari, alle false partite iva, alle collaborazioni coordinate e continuative, con la conseguenza che chi viene utilizzato con questi contratti resta a casa nel silenzio e nell’indifferenza generale. Strumenti contrattuali che non sono stati contrastati dal legislatore, che anzi con il decreto dignità nel 2018 ha generato un indiretto incentivo al loro utilizzo, in quanto sono state combattute le uniche forme di flessibilità regolare (il lavoro a termine e la somministrazione) esistenti nel nostro ordinamento.

Il congelamento degli organici non frena solo le uscite dalle imprese: in un contesto del genere, le nuove assunzioni sono un lusso che pochissime aziende si possono concedere. Un giovane che oggi si affaccia al mercato del lavoro trova delle aziende impermeabili a qualsiasi ingresso (a meno che queste non appartengano ai pochi settori beneficati dal nuovo contesto).

La falsa tutela degli occupati 

Qualcuno potrebbe obiettare che questo prezzo amaro merita di essere pagato perché comunque vengono salvate centinaia di migliaia, forse milioni, di posti di lavoro. E’ una conclusione molto illusoria: una parte rilevante di chi ha passato l’ultimo anno in cassa integrazione probabilmente non vedrà mai più il suo vecchio impiego, che è stato spazzato via dagli stravolgimenti organizzativi prodotti dalla pandemia. Questi lavoratori sono vittime, tramite la cassa integrazione prolungata, di un trattamento paternalista e ingannevole, che impedisce di visualizzare l’esistenza di un problema – la scomparsa del loro posto di lavoro – e ritarda l’adozione delle misure necessarie a trovare un nuovo impiego.

È urgente un piano di politiche attive del lavoro 

Questi lavoratori, dunque, meritano un salto di qualità che passi dall’abbandono della CIG Economy a un sistema imperniato sulle politiche attive del lavoro. Invece della cassa integrazione perpetua abbinata al divieto di licenziamento, serve il coraggio di scongelare il mercato consentendo alle imprese di ristrutturarsi, dando ai lavoratori coinvolti una tutela rinforzata contro la disoccupazione (allungando, ad esempio, a tre anni la durata della relativa indennità), e aiutandolo ad attivarsi nella ricerca di una nuova occupazione mediante sistemi moderni che coinvolgano efficacemente le agenzie private in questo faticoso lavoro di ricollocazione professionale. Il divieto di licenziamento scade a marzo del 2021: sarebbe urgente attivarsi ora per arrivare alla scadenza con un piano che non si traduca nell’ennesimo rinvio del binomio divietisussidi. 

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