Sciopero degli statali, uno schiaffo a chi combatte per sopravvivere alla crisi – Il commento

di Giampiero Falasca

L’agitazione odierna dei dipendenti pubblici è lecita ma testimonia che c’è un abuso dello strumento

Oggi è un brutto giorno per chi ama il sindacato. Lo sciopero di alcuni settori del pubblico impiego per protestare contro lo stallo sul rinnovo contrattuale è pienamente legittimo, ma in un momento come quello attuale suona come uno schiaffo violento a tutti quei soggetti – lavoratori dipendenti del settore privato, commercianti, autonomi, professionisti – che stanno combattendo per sopravvivere tra chiusure, ristori e false ripartenze. 


E’ indispensabile affrontare con chiarezza il tema, partendo da un concetto  ad alto rischio di impopolarità e ad alto tasso di semplificazione. Un concetto noto a tutti i cittadini e da cui non possono sfuggire tutti quelli che hanno a cuore le sorti del sindacato: c’è un abuso strisciante dell’istituto dello sciopero. Non c’è un venerdì senza una qualche forma di agitazione dei trasporti, ora locali, ora ferroviari, ora aerei; l’apertura delle scuole (a parte i periodi di chiusura emergenziale) in alcune giornate dell’anno è un terno al lotto. 


Per non parlare delle mille agitazioni locali o settoriali delle tante diramazioni del pubblico impiego (come quella odierna) che condizionano la regolare erogazione dei servizi pubblici. Ciascuno dei promotori di queste agitazioni lo fa rispettando la legge (almeno quella sui servizi pubblici essenziali, per i settori cui si applica) o i contratti collettivi. 

Non si può dire, quindi, che sia un utilizzo illecito. Ma questo non toglie che si tratta di un utilizzo inopportuno e sbagliato di un istituto che è nato per sostenere lotte sindacali importanti con mezzi eccezionali. Lo sciopero ha perso, ormai, questa caratteristica, per diventare altro: un momento normale della vita lavorativa, che si usa con cadenza periodica senza alcuna forma di autocontrollo reale, che scarica sugli unici oggetti incolpevoli (gli utenti) i conflitti grandi e piccoli che nascono tra amministrazioni (o aziende, se si tratta di privati) e lavoratori.

In un Paese normale la materia sarebbe disciplinata da una legge normale: nel nostro ordinamento, nonostante sia la stessa Costituzione a prevedere un intervento normativo, chiunque propone di regolare l’esercizio del diritto di sciopero viene considerato un reazionario che intende reprimere un diritto costituzionale. Un approccio figlio del populismo giuslavoristico, la tendenza (che attraversa in maniera bipartisan molti degli schieramenti politici) a semplificare in modo grossolano la questioni del lavoro, alla ricerca del consenso facile e immediato.

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