La nuova variante Covid deve preoccuparci più di quella dei visoni? Le caratteristiche e i rischi messi a confronto

di Giada Giorgi

Dal nodo vaccini alla velocità e modalità di diffusione del contagio: le due mutazioni destano timori per cause scientifiche diverse

SARS-Cov-2 è un virus mutante. Una caratteristica che spaventa, ma che è bene ricordare essere tipica di quei virus che utilizzano come proprio materiale genetico il RiboNucleic Acid, l’acido ribonucleico. È da questo presupposto che è necessario partire per mettere a confronto due delle mutazioni che finora hanno avuto un maggiore impatto nella gestione della lotta alla Covid-19. L’attuale variante ha avuto grande risalto, anche per via delle decisioni che ha generato: lockdown, chiusura dei voli da e per il Regno Unito, tir fermati alle frontiere, vaccini (per il momento erroneamente) messi in dubbio. Ma che differenza c’è con quello che è avvenuto pochi mesi fa quando a provocare un’ulteriore variante nel genoma del virus furono i visoni della Danimarca, sterminati per più di 17 milioni? Il rischio per l’uomo era minore? E se così, perché abbattere una quantità così grande di animali?



Una delle ultime comunicazioni ufficiali dell’Oms, prima del grido d’allarme di Boris Johnson, aveva messo in correlazione la mutazione proveniente dai visoni con quella di cui ha dato notizia il premier britannico. Maria Van Kerkhove durante il briefing sulla pandemia aveva spiegato che la situazione della mutazione diffusasi nel Regno Unito era monitorata dal Virus Evolution Working Group «nel contesto delle mutazioni scoperte nei visoni in diverse parti del mondo». Queste parole avevano lasciato pensare a caratteristiche simili tra la variante attuale e quella dei visoni, ma i dati – a partire da quel +70% di rapidità del contagio menzionato da Johnson in conferenza stampa – sembrano smentire questa lettura.

Il caso dei visoni e il pericolo per i vaccini

Ad ottobre erano 58 i focolai di un nuovo genoma sviluppatosi negli allevamenti di visoni della Danimarca. Il primo caso si verificò nel mese di giugno nello Jutland Settentrionale e in una fase iniziale fu considerato irrilevante dagli esperti. Ma la situazione non tardò a precipitare, e si arrivò alla moltiplicazione dei focolai con più di 100 allevamenti interessati nel Paese e l’ordine dell’abbattimento dei visoni. Quelli infettati ma anche quelli sani, ritenuti un potenziale pericolo per il passaggio della variante nell’essere umano. Da lì il passo è stato breve e la mutazione ha corso in Spagna, Italia, Svezia, Stati Uniti e Paesi Bassi, arrivando a contagiare anche più di 200 dipendenti. Il 68% delle persone entrate in stretto contatto con gli allevamenti risultò positivo al test anticorpale, con una propagazione quindi notevole.

Proprio come per la variante di cui discutiamo oggi, anche nel caso dei visoni i dati scientifici esclusero una maggiore aggressività del nuovo genoma riguardo ai sintomi provocati. Il dibattito rimase aperto invece sulla più forte capacità di trasmissione e sull’immunizzazione. Le prime pubblicazioni del laboratorio governativo danese, lo Statens Serum Institute, parlarono di 4 mutazioni presenti nel gene della proteina spike del virus. L’allarme scattò quando, mettendo a confronto il plasma di persone guarite dalla Covid-19 o di visoni immunizzati e la nuova variante, si vide che gli anticorpi presenti nel primo non avevano neutralizzato del tutto il genoma mutato.

Un virus non più cattivo nei sintomi dunque ma più capace di diminuire l’efficacia degli anticorpi, caratteristica di primaria importanza nell’ottica della ricerca sul vaccino. Quanto ai livelli di trasmissibilità, un articolo di Science del 13 novembre, scritto da alcuni ricercatori di Oxford, chiarì:

Le mutazioni associate al visone di cui siamo a conoscenza non sono associate a una rapida diffusione, né a cambiamenti nella morbilità e mortalità.

Non solo, l’articolo si pronunciò anche in merito al pericolo rappresentato dalla variante dei visoni sui vaccini:

Ci sono poche prove che consentono al virus di diffondersi più facilmente tra le persone, renderlo più mortale o mettere a repentaglio terapie e vaccini.

Questi elementi però non bastarono per fermare l’abbattimento dei visoni:

L’abbattimento degli animali è necessario data la diffusione rapida e incontrollata del virus nei visoni, che rende gli animali un’enorme fonte virale che può facilmente infettare le persone

I timori sulla contaminazione di aria e falde acquifere

Il pericolo di una più difficile immunizzazione causata dal nuovo genoma dei visoni, nonostante l’allarme lanciato dalla prime pubblicazioni, sarebbe dunque rientrato insieme a quello della maggiore trasmissibilità. Nonostante questo si decise per l’eliminazione degli animali da cui la variante era nata. Non solo. Il rischio di contaminazione per la variante dei visoni continua a sussistere anche per quelli abbattuti: sepolti in un sito militare ad ovest della Danimarca, ora i corpi rischiano di contaminare l’aria e alcune falde acquifere. Decomponendosi, le carcasse starebbero sprigionando azoto e fosforo, causando “varchi” nel terreno.

La rapidità di trasmissione del contagio

Il virus che ha viaggiato di organismo in organismo, replicandosi velocemente e a volte anche modificandosi, ha prodotto una nuova variante di se stesso nella zona del Sud-Est dell’Inghilterra. Secondo quanto risulta dagli studi messi a disposizione dell’Ecdc, la mutazione sarebbe in circolo già da settembre, con tutto quello che il dato comporterebbe in termini di diffusione e contagio. L’allarme di Johnson è arrivato solo il 19 dicembre, con annesso lockdown e blocco dei voli da parte di molti Paesi europei, tra cui l’Italia.

Rispetto alla variante dei visoni, la differenza starebbe nella maggiore capacità di diffusione. Se per la prima «poche erano state le prove di una maggiore trasmissibilità», per la mutazione di cui ora il mondo ha paura si parla di un 70% di capacità di contagio in più. Un dato che gli esperti si riservano di accertare in maniera definitiva nel prossimo futuro e che al momento rimane da non sottovalutare. Secondo le prime indagini sarebbe dunque ipotesi fondata la correlazione tra l’aumento del numero dei casi e la variante.

Gli studi stanno andando avanti anche sul fronte della maggiore gravità del virus in termini di sintomi e mortalità, e sulle ipotetiche conseguenze sull’efficacia dei vaccini in arrivo. A differenza di quanto riscontrato per la variante dei visoni, al momento non c’è alcuna prova scientifica che vada in questo senso. Sul primo punto, Ewan Birney, vice direttore generale del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare e direttore congiunto del suo Istituto Europeo di Bioinformatica a Cambridge, ha commentato:

Se la nuova variante avesse avuto forte impatto sulla gravità della malattia la percentuale di casi ospedalieri rispetto al numero di infezioni sarebbe crollata o sarebbe calata drasticamente. Nessuna delle due cose è accaduta, quindi possiamo concludere che l’impatto sul numero di casi gravi sarà probabilmente modesto.

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