Ci avevano già provato a novembre, ma il governo aveva fatto muro. Adesso le Regioni tornano alla carica per chiedere una revisione dei 21 parametri con cui si determinano le fasce di rischio e, di conseguenza, le misure di contrasto all’epidemia di Coronavirus. Il documento messo a punto dai governatori è al vaglio dell’Istituto superiore di sanità.
In base alle prime indiscrezioni, tra i cambiamenti richiesti ci sarebbe anche un diverso metodo di calcolo del tasso di positività, per includere nel computo oltre ai tamponi molecolari anche quelli rapidi. Si chiederebbe inoltre di rivalutare la definizione di “caso” e le strategie di esecuzione dei test. Considerare anche i tamponi rapidi nel calcolo dell’incidenza dei casi, come da tempo fa già la Regione Veneto nel suo bollettino quotidiano, porterebbe con ogni probabilità ad abbassare il tasso di positività nazionale.
Le posizioni di Toti e Fontana
Contattato da Open, il governatore della Liguria Giovanni Toti ha dichiarato: «Sono mesi che insistiamo per rivedere i parametri, sia per quanto riguarda il conteggio dei tamponi rapidi e molecolari, sia per quanto riguarda la ponderazione dei criteri di rischio, che non possono essere valutati solo dalle percentuali di crescita o decrescita ma devono essere collegati ai numeri assoluti dell’emergenza sul territorio. Per discutere di questo e molto altro si era insediato un tavolo di confronto tra i tecnici delle Regioni e quelli del governo, ma nessun cambiamento è stato ancora recepito negli ultimi provvedimenti legislativi».
Più cauto, ma sostanzialmente sulla stessa linea il governatore della Lombardia, Attilio Fontana: «Il documento al vaglio dell’Iss è un documento tecnico della commissione Sanità della Conferenza delle Regioni, su cui stanno lavorando con i tecnici del ministero della Salute. Esprime una posizione della Conferenza delle Regioni. Il lavoro tecnico è nato dalla posizione comune delle Regioni che risale al 17 novembre scorso, per sollecitare un diverso approccio sui parametri».
Il nodo dei tamponi
Attualmente, tuttavia, la maggior parte delle Regioni non invia all’Iss anche i dati relativi ai tamponi rapidi (oltre al Veneto, lo fanno pure il Lazio e il Piemonte), ma solo quelli relativi ai tamponi molecolari, che sono più costosi e richiedono più tempo per essere analizzati, ma hanno una sensibilità vicina al 100%. I tamponi molecolari sono gli unici a essere conteggiati nel bollettino quotidiano del ministero della Salute. E vengono considerati dall’Iss la prima scelta per i casi sospetti sintomatici, i contatti stretti di un caso confermato che manifestano sintomi, per lo screening degli operatori sanitari, per testare soggetti a contatto con persone fragili o per l’ingresso in comunità chiuse.
I tamponi rapidi, al contrario, ricercano l’antigene virale, ovvero non vanno a caccia del genoma, bensì di una proteina del Coronavirus. Sono meno accurati (attorno al 95-96%), possono dare falsi positivi e la probabilità che diano un falso negativo è più alta all’inizio dell’infezione. Ma costano di meno e la risposta arriva in tempi brevi, nel giro di un’ora. Sono strumenti utili soprattutto per fare screening e qualora occorra avere in poco tempo indicazioni per le azioni di controllo.
La proposta (bocciata) di novembre
Bisogna infine ricordare che già il 17 novembre la Conferenza delle Regioni aveva proposto al governo di usare solo cinque indicatori al posto degli attuali 21. Ma il ministro della Salute, Roberto Speranza, aveva respinto la proposta spiegando che «21 criteri significa avere una fotografia più affidabile, oggi questo è il modello che abbiamo e dobbiamo rispettarlo».
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