Niente contratto e a rischio sostituzione, ma i navigator non ci stanno: «Quelle 366 mila assunzioni fatte sono un miracolo, dateci tempo»

Nella legge di bilancio per loro non c’era nessuna proroga e stanno partendo i bandi per le assunzioni nei centri per l’impiego: «La nostra figura è stata estremamente politicizzata, ma quelli che assistiamo non sono fantasmi»

L’eredità del 2020 sarà devastante. Dal punto di vista del lavoro, l’incidenza della pandemia da Coronavirus sui nuovi poveri ha già presentato il conto: rispetto ai dati del 2019, la percentuale è passata dal 31% al 45%. Autonomi senza lavoro, piccole imprese che hanno chiuso i battenti, categorie di commercianti messe in ginocchio dai lockdown. A partire da marzo 2021, poi, con lo sblocco dei licenziamenti, la platea di persone in difficoltà aumenterà ulteriormente. Se da una parte il Reddito di cittadinanza è servito da cuscinetto per alcuni nuclei familiari che già partivano svantaggiati, dall’altra la figura del Navigator sarà chiamata a fronteggiare una marea di aventi diritto in cerca di una soluzione. La loro posizione, però, è tutt’altro che facile: sono lavoratori precari che, senza garanzie di sopravvivenza, si districano tra problemi strutturali del Paese e tifo politico. E il 2021 rischia di essere una tempesta perfetta.


Secondo i piani ufficiali, i circa 2.700 Navigator assunti come co.co.co vedranno scadere i loro contratti ad aprile di quest’anno. Le certezze sulla loro continuità sono poche: come hanno lamentato in una lettera aperta alla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, la Legge di Bilancio ha accantonato l’emendamento che prevedeva una proroga per la loro professione. L’impressione è quella che ci sia bisogno di trovare una quadra politica prima di decidere sul loro futuro, visto il peso che aveva messo su questo progetto il Movimento 5 stelle. La ministra si è detta intenzionata a rinnovare i loro contratti fino alla fine del 2021, ma non è chiaro a quel punto che tipo di modifiche avrà subito il loro ruolo. E se verrà trovato loro un posto per continuare a mettere in pratica quanto imparato in questi 2 anni. Parallelamente a questo contesto di incertezza, sono stati banditi dei concorsi per assumere circa 11.600 persone nei centri per l’impiego. Una mossa che in qualche modo potrebbe anticipare la volontà di fare un passo indietro sui Navigator, e affidare l’orientamento al lavoro a figure diverse (e con diverse qualifiche).


I dati sul lavoro «vanno contestualizzati»

Secondo i dati ufficiali consultabili sui report dell’Osservatorio sul Rdc, al settembre 2020 i destinatari del sussidio sono stati in tutto 1,2 milioni, per un totale di circa 3 milioni di persone coinvolte fin dall’aprile 2019. I cittadini che sono stati inseriti nel mondo del lavoro sono stati circa 366 mila. Pochi? Dal punto di vista assoluto, di certo il dato non restituisce una verità generosa. Contestualizzandolo, però, si scoprono difficoltà strutturali delle quali c’è poca abitudine a parlare. Per migliorare i risultati del loro lavoro servirebbe in primis oliare il sistema di coordinamento istituzionale tra i vari organi. Il problema numero uno, infatti, risulta essere la difficoltà che hanno i diversi livelli di comando a comunicare tra loro: Inps, Anpal, Centri per l’impiego. Ma anche lo Stato, le Regioni, i comuni: tutti gli enti coinvolti faticano a passarsi le informazioni in maniera agevole.

E poi c’è un’altra questione, ugualmente strutturale: i beneficiari del reddito sono spesso persone poco scolarizzate che, in periodo di crisi da Covid, hanno visto paralizzati i settori verso i quali di solito venivano indirizzate. Secondo alcuni dei Navigator, quanto sono riusciti a fare è già un «miracolo». «La nostra figura è stata estremamente politicizzata e non permette un dibattito laico sul nostro operato», spiega Antonio Lenzi dell’Associazione nazionale Navigator. «La platea di persone che assistiamo non è astratta: abbiamo a che fare con persone inattive da anni, psicologicamente scoraggiate e poco scolarizzate. Pensare che si possa risolvere la disoccupazione in 18 mesi, con una pandemia di mezzo, è irrealistico».

La platea del Rdc e lo tsunami del Covid

Come spiega Lenzi, la maggior parte delle persone che beneficia del Reddito di cittadinanza ha un’età superiore ai 40 anni, ha scarse conoscenze informatiche, una bassa scolarizzazione (massimo la terza media) e una carriera lavorativa discontinua. «Davanti a persone che si sentono sconfitte c’è bisogno di fare un lavoro lungo di formazione e attivazione», spiega. «Trovare un’offerta di lavoro è l’ultimo step: prima bisogna aiutarli a capire le possibilità che hanno e renderli autonomi anche solo nella presentazione alle aziende». Quando il lavoro si trova, poi, la qualità del contratto dipende poco dal ruolo del Navigator: i settori verso cui vengono indirizzati maggiormente i beneficiari del Rdc sono quelli più colpiti dalla pandemia. Dalla ristorazione al servizio negli alberghi, passando per l’edilizia (che pian piano sta ripartendo) e i servizi di pulizie (in parte salvati dalle sanificazioni degli ambienti).

Il ruolo della figura pubblica

Il lavoro del Navigator è, in potenza, particolarmente utile per risollevare quindi anche lo stallo dei cosiddetti inattivi, immobilizzati anche da una sensazione di scoraggiamento verso il futuro. Non a caso le figure selezionate hanno tutte una laurea magistrale, spesso in psicologia e scienze umane. Ma togliere i Navigator dall’impasse in cui si trovano significa anche non buttare al vento un investimento importante della politica, rinnovato attraverso il rifinanziamento del Reddito di cittadinanza anche nella finanziaria appena approvata (+4 miliardi di euro in 9 anni). «Un investimento del genere necessita di lungimiranza – dice Lenzi – e non si può pensare che, al di là della propaganda, basti mettere i soldi per far funzionare un sistema così ampio».

La politica attiva del lavoro, d’altronde, non è un percorso facile. Soprattutto se mira all’obiettivo di tirare dentro al mercato del lavoro persone che per anni sono state relegate ai margini. Scopo nobile, certo, ma difficile. E la volontà di un impegno pubblico non va sprecata: «Le agenzie private per il lavoro possono avere un ruolo importante – dice Lenzi – ma pensano inevitabilmente al profitto, e quindi a seguire lavoratori facilmente occupabili. C’è bisogno di un impegno pubblico, e noi siamo pronti a dare il nostro contributo nei nuovi progetti che il governo vorrà mettere in campo».

Immagine di copertina: ANSA/CESARE ABBATE

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