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Coronavirus, i numeri in chiaro. Taliani: «Gli anziani dovrebbero andare nei negozi in fasce protette»

Anche se i dati di oggi mostrano dei segnali di miglioramento, secondo Taliani «c’è uno stato di stabilità nella quota di infezione» che è destinato a durare

Non è facile capire attualmente in che direzione vada la pandemia in Italia. I nuovi casi registrati nelle ultime 24 ore sono circa 16 mila e i decessi 475. Circa due settimane fa, il 1 gennaio 2021, i contagi registrati erano stati 22.211 e i decessi 462. Da allora i dati hanno oscillato, in un modo e nell’altro, senza prendere una direzione definitiva. «A guardar grossolanamente i dati di oggi si vede qualche miglioramento», dichiara a Open Gloria Taliani, infettivologa e ordinaria di Malattie infettive all’università La Sapienza di Roma. «Aumentano i guariti, diminuiscono i pazienti in terapia intensiva dell’1.4%, diminuiscono dell’1.2% i ricoverati con sintomi e aumentano di poco – dello 0.6% – i dati relativi a morti, e questo è l’unico elemento preoccupante. I nuovi casi giornalieri sono in una tendenza alla diminuzione, ma c’è uno stato di stabilità nella quota di infezione. Direi che siamo in una situazione di plateau, in cui è difficile sapere cosa succederà domani, perché potrebbero diminuire un po’, prima di aumentare di nuovo».

Professoressa, pesa ancora la nuova variante sull’aumento dei casi?

«In alcune aree in cui la nuova variante si è inserita, l’elemento determinate è stata la maggiore diffusione, la capacità di infettare di più. Ma questo significa che c’è un fuoco costante che non si riesce a spegnere e che determina ogni tanto delle piccole fiammate. Lo vediamo se guardiamo il saldo dei positivi: anche se adesso sembra andare leggermente in diminuzione, la differenza tra i positivi e i guariti va nella direzione della crescita. Questo significa che c’è ancora un rischio – che non si può sottovalutare – della capacità del virus di essere in circolazione».

Perché? Rimarrà così finché una fetta sostanziale della popolazione non sarà vaccinata?

«Si, fatalmente è così perché il numero dei suscettibili è talmente ampio che è impossibile impedire a un virus che circola facilmente di diffondersi. È impossibile. Sarà molto difficile raggiungere il saldo “0” in tempi brevi. Ma, complessivamente, rimane stabile il numero di pazienti ricoverati sul totale di positivi – che è circa il 4% – il che vuol dire che noi riusciamo a tracciare i potenziali diffusori».

Quindi il tracciamento funziona? Solitamente si dice il contrario.

«Il tracciamento ha smesso funzionare perlomeno per quello che speravamo che facesse, perché il tracciamento vero è quello per cui non solo isoliamo il paziente positivo, ma andiamo a cercare tutte le persone con cui è stato in contatto. Quello che noi stiamo facendo è intercettare i positivi in maniera abbastanza efficiente e isolarli: effettivamente non riusciamo a rintracciare tutti i contatti. Poi bisogna dire che il numero varia a seconda della Regione. La media nazionale dei nuovi positivi su tamponi è 5,9%, ma abbiamo delle grandi variabili. Per esempio, in Calabria è 13,7%, il che indica che il numero di tamponi che vengono eseguiti è basso rispetto fabbisogno e il tracciamento dei contatti è inefficace».

I test antigenici non aiutano in parte a risolvere questo problema?

«Cambia la possibilità di farli velocemente in modo più capillare in tante circostanze. In caso di incontri in presenza indifferibili, potrebbe essere una buonissima abitudine quella di far eseguire un tampone antigenico a tutti i partecipanti. È vero che ci sono dei rischi di falsi positivi, ma è meglio un falso positivo che viene isolato fino a conferma che un falso negativo che viene ammesso alla riunione. Bisognerebbe cominciare a fare un uso intelligente dei test antigenici, che sono rapidi e facili da eseguire, e che potrebbero essere di ausilio per esempio anche per chi vuole o deve incontrare i propri familiari».

Finiscono per condizionare il calcolo complessivo dei positivi?

«L’impatto sul calcolo è del tutto marginale, considerando i grandi numeri di tamponi dell’una e dell’altra specie che vengono eseguiti, anche perché se il tampone antigenico è positivo poi deve essere confermato».

Cosa pensa invece dei criteri che vengono adoperati per suddividere le Regioni tra bianche, gialle, arancioni e rosse? In Lombardia il presidente Fontana dice che il Governo dovrebbe dare priorità all’l’Rt di ospedalizzazione.

«Fontana potrebbe riferirsi al tasso di trasmissibilità tra persone che vengono ricoverate. Effettivamente non viene valutato in maniera dettagliata. Io mi aspetto che la saturazione dei posti letto sia più facile nelle Regioni che fanno meno tamponi e che hanno un tasso di positività elevato, perché è più probabile che le persone che vengono riscontrate positive siano sintomatiche e che abbiano quindi un tasso di richiesta di ospedalizzazione superiore alla media nazionale».

In generale crede sia necessaria una nuova stretta? Qual è a suo avviso il modo giusto di procedere?

«Il modo giusto di procedere dovrebbe tener conto di quello che si era detto già nella fase iniziale della pandemia: cominciare a ragionare in termini di rischio. Per esempio, si potrebbero stabilire delle fasce di utilizzo dei servizi e di fruizione dell’offerta di vendita che variano a seconda della categoria, dando, per esempio, agli anziani la possibilità di andare nei negozi ed effettuare degli acquisti in una fascia protetta. Si tratta di separare le fasce di rischio in modo da evitare che ci sia un passaggio facilitato tra chi il virus ce l’ha senza sintomi e chi invece potrebbe subire dei danni. Però capisco che il governo avrebbe difficoltà ad introdurre misure del genere perché implicano una forte limitazione della libertà individuale».

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