Coronavirus, i verbali della task force a fine gennaio 2020: «È un’influenza, fa morti ma non fa notizia» – L’anticipazione di Report

di OPEN

Nell’ultima puntata di Report, i primi verbali della task force che doveva occuparsi di valutare il nuovo virus. Un mese e mezzo passato senza prendere decisioni neppure sullo stoccaggio delle mascherine

A inizio 2020, il ministero della Salute ha sottovalutato per settimane i rischi del Coronavirus in arrivo. A dimostrarlo, oltre alle poche indiscrezioni che arrivano dalla procura di Bergamo sull’impatto della pandemia nella provincia lombarda, sono ora i verbali che Report, la trasmissione di Rai 3 guidata da Sigfrido Ranucci, mostra questa sera in esclusiva. L’elenco di quel che avviene tra il 5 gennaio e il 20 febbraio 2020 (il ricovero d’urgenza del “paziente 1” all’ospedale di Codogno è del 19 febbraio) lascia pochi margini di interpretazione.


Il 5 gennaio, come è noto, l’Organizzazione mondiale della sanità manda in tutto il mondo il primo alert che chiede di attivare i piani pandemici per l’influenza, visto che in Cina è stata rintracciata una pericolosa polmonite di causa sconosciuta. Il 7 gennaio dal ministero della Salute parte una circolare che estende l’allarme a tutte le autorità interessate. Ma solo il 22 gennaio, dunque 17 giorni dopo, si riunisce per la prima volta una task force istituita per valutare la situazione. Dell’organismo di emergenza fanno parte Giuseppe Ippolito dell’istituto Spallanzani, Agostino Miozzo della Protezione civile, Giovanni Rezza e Silvio Brusaferro dell’Istituto superiore di sanità, alla presenza del ministro della Salute, Roberto Speranza.


Il documento

Lì per lì, si legge nel verbale mostrato da Report, è lo stesso Ippolito – che proviene da uno dei principali centri di ricerca italiani sulle malattie infettive – a tirare il freno: «È verosimile che il virus si attenui nelle prossime settimane. Attualmente ha una diffusione simile a quella dell’influenza». Rincarano la dose i rappresentanti dell’Istituto superiore di sanità, dice ancora il documento:

I dati sono sovrapponibili a quelli dell’influenza: dal 1 gennaio abbiamo 3 milioni e mezzo di italiani a letto con l’influenza e diversi sono stati i morti ma questo dato non fa notizia. I sintomi dell’influenza e del Coronavirus sono simili, il virus dell’influenza ha un tasso di riproduzione più elevato rispetto al coronavirus ma il quadro radiologico in quest’ultimo è molto più importante. Sulla base delle esperienze pregresse ci sarà un picco e poi un rallentamento.

Il 29 gennaio, Giuseppe Ippolito parla per la prima volta della necessità di attivare il piano pandemico, sempre alla presenza del ministro Speranza, ma la decisione viene rimandata. Si parla anche della necessità di stoccare dispositivi di protezione individuale, ovvero le mascherine che mancheranno per almeno un mese, ma anche su questo non arriva nessuna scelta precisa. E del resto, ancora il 7 febbraio, lo stesso Ippolito, assieme agli esperti dell’Iss, dice che il virus non è ancora arrivato in Italia e che quindi semmai bisognerà affrontare una minaccia proveniente dall’esterno.

La presa di coscienza di quanto potrebbe accadere è del 20 febbraio, quando il paziente 1 è già in terapia intensiva. Il ricercatore Stefano Merler, della fondazione Bruno Kessler, presenta al ministero la sua ricerca mostrando che il virus può causare 70 mila morti entro la fine dell’anno, anche Speranza assiste alla discussione. Anche in questo caso, però, le decisioni più rigide riguardanti l’intero Paese arriveranno giorni dopo.

La procura di Bergamo, nelle ultime settimane, ha convocato vari dirigenti del ministero, tra i quali Giuseppe Ruocco, segretario generale che introduceva tutte le riunioni della task force e Claudio D’Amario, ex direttore generale della Prevenzione. Quest’ultimo avrebbe confermato ai pm che il piano pandemico vigente a gennaio scorso era quello del 2006, perché nel 2017 ci si era limitati a rivedere l’editing e il sito internet. Una versione dei fatti che il direttore generale aggiunto Ranieri Guerra ha smentito più volte.

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