Crisi di governo, cosa succede dopo le dimissioni di Conte? Ecco gli scenari possibili

Cosa accade al Colle, in aula e qual è il destino della relazione di Bonafede in Parlamento. Sullo sfondo, il ruolo di Forza Italia

Il momento è arrivato: la crisi, di quelle al buio che forse non voleva davvero nessuno, è in showdown, con l’annuncio di dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte in Consiglio dei Ministri e poi la sua salita al Colle. La parola fine al governo Conte II arriva dopo 500 giorni di vita. Certamente fino al giuramento di un nuovo governo, l’attuale esecutivo rimane in carica per lo svolgimento degli affari correnti – inclusa emanazione di decreti legge in casi di necessità e urgenza. Ferma, con la crisi di governo, l’attività parlamentare, eccetto che per gli atti urgenti come la conversione dei decreti legge in scadenza. Ma cosa può succedere ora?


Al Quirinale

Dopo un passaggio al Consiglio dei Ministri, Conte si è presentato davanti al presidente della Repubblica. Al Quirinale, il capo dello Stato Sergio Mattarella ha ricevuto le dimissioni del premier: il Colle ha sempre chiesto di fare presto, in questa crisi. A questo punto, dopo aver consultato i gruppi parlamentari già da domani pomeriggio (in mattinata è previsto lo svolgimento della cerimonia della Festa della Memoria), Mattarella ha tre strade davanti:


  • come nel 2018, conferire un mandato esplorativo a un personaggio istituzionale. Allora erano stati la presidente del Senato Elisabetta Casellati e quello della Camera Roberto Fico. Nel 2018 Mattarella lo conferì ai presidenti di Camera e Senato;
  • conferire mandato pieno o esplorativo a Conte come premier uscente (laddove si dovesse manifestare la prospettiva di una maggioranza coesa). L’avvocato del popolo accetterebbe con riserva;
  • avviare direttamente proprie consultazioni al Colle (con i presidenti delle Camere, i rappresentanti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato ed il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano) per meglio ricostruire il quadro ed eventualmente conferire il mandato esplorativo (o la nomina) a un’altra personalità.

Oppure ancora, una volta verificata l’impossibilità di formare un nuovo esecutivo, decidere di sciogliere le Camere per andare ad elezioni.

Il presidente del Consiglio

Il premier dimissionario punta al reincarico, un Conte ter con la stessa maggioranza attuale con Pd, M5s e Leu cui si dovrebbe aggiungere, al posto di Italia Viva e dei renziani, un gruppo di responsabili ed europeisti che possano puntellare la sua maggioranza, per un progetto che possa arrivare alla fine della legislatura. Giuseppe Conte sa benissimo di avere solo 48 ore davanti per l’impresa. Un’impresa su cui si allunga l’ombra del fallimento, dato che l’appello (inascoltato) ai responsabili risale alle ore precedenti alla richiesta di fiducia al Senato. Mai il premier avrebbe voluto una crisi al buio, quanto piuttosto una crisi pilotata in direzione del reincarico. Ma i responsabili non sono stati tali. E in tanti hanno chiesto a Conte di dimettersi prima di venire allo scoperto.

Che fine fa la relazione sulla giustizia

Dopo aver incassato la maggioranza relativa al Senato, lo showdown della crisi va ora in scena di fronte a un nuovo scoglio che attende la maggioranza in aula: quello delle comunicazioni del ministro della Giustizia – e successivo voto – alle Camere sull’amministrazione nel precedente anno. Comunicazioni che devono essere effettuate entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, in base alla riforma della legge sull’Ordinamento giudiziario del 2005. La relazione di Bonafede è (ancora) prevista in calendario per domani, 27 gennaio, ed è propedeutica alla inaugurazione dell’Anno Giudiziario in Cassazione.

Sul ruolo e i contenuti di Alfonso Bonafede – giustizialista della prima ora e, tra l’altro, capodelegazione, del Movimento 5 Stelle – si sta consumando l’ulteriore fronte della crisi. Il Pd ha chiesto, inascoltato, a Bonafede segnali di svolta propedeutici a comporre al centro con posizioni come quelle di Clemente Mastella, per intendersi. Cominciando dalla questione prescrizione. Così la moglie di Mastella, Sandra Lonardo, si asterrebbe, insieme a nomi come quello di Pier Ferdinando Casini, e alcuni senatori di Forza Italia e di Cambiamo. Uno scenario che ha ricevuto il no categorico dello stato maggiore grillino e di Luigi Di Maio.

A proposito di Mastella e di relazioni del guardiasigilli, suo è il precedente nel 2008 quando, allora ministro della Giustizia, aveva tenuto in aula le sue comunicazioni a poche ore dalla messa ai domiciliari di sua moglie. La relazione non venne votata perché subito dopo Clemente Mastella andò a dimettersi. Come ricorda l’Ansa, c’è un solo precedente di comunicazioni fatte da un esecutivo dimissionario: era il 2013 col governo di Mario Monti. La relazione sulla giustizia venne trasmessa al parlamento senza svolgere le comunicazioni in Aula.

E Forza Italia?

L’altra incognita è il ruolo che gioca e sta giocando Forza Italia. Una delle speranze di palazzo Chigi, secondo la ricostruzione di Repubblica, è che Silvio Berlusconi possa benedire l’azione di un pugno di responsabili forzisti che accorrano a puntellare il governo e lo stesso ruolo di Conte. L’ex Cavaliere – di cui Matteo Salvini oggi prospetta l’elezione al Quirinale – esclude pubblicamente il soccorso azzurro e rinnova l’unità del centrodestra, ma le voci di pezzi di Forza Italia pronti a staccarsi, come hanno già fatto da Andrea Causin, Maria Rosaria Rossi e prima da Renata Polverini, continuano a circolare e a mettere in crisi un partito che per molti è già spaccato.

«Voglio chiarire ancora una volta che nessuna trattativa è in corso, né ovviamente da parte mia, né di alcuno dei miei collaboratori, né di deputati o senatori di Forza Italia, per un eventuale sostegno di qualunque tipo al governo in carica», ha dichiarato Berlusconi.

Italia Viva fuori dai giochi?

L’altra incognita sul tavolo è quella sul destino – e la collocazione – di Italia Viva e dei renziani. Sono davvero fuori dai giochi oppure no? Di certo una parte di maggioranza preme per farli rientrare, forse anche alla luce della mancanza di “responsabili”. Oggi il ministro della Difesa dem, Lorenzo Guerini, porge un ramoscello d’ulivo a Matteo Renzi. È una crisi incomprensibile all’Italia e all’Europa e le responsabilità di Renzi sono chiare. Ma non è tempo di risentimenti, dice in un’intervista a Repubblica. «Nessuno ha voluto sostituire Italia Viva che si è chiamata fuori, inspiegabilmente, da sola», dice Guerini.

«Quanto alla relazione sulla giustizia, il Pd ha alacremente lavorato ad una posizione che si aprisse anche ad istanze che si erano manifestate in questi giorni. Non è andata così. Ora siamo in un altro scenario, di una crisi dai contorni incerti che può essere risolta solo con un appello, intorno alla figura di Conte, rivolto a tutte le forze che si riconoscono nell’orizzonte e nella vocazione».

L’ex sindaco di Firenze ed ex presidente del Consiglio, alla luce del dato di fatto di non essere stato, al momento, sostituito con il suo gruppo, lancia messaggi di soddisfazione. «Alla fine abbiamo vinto noi», dice ai suoi. «È il passaggio che gli avevamo chiesto e che aveva rifiutato di fare», dice parlando delle dimissioni. Ora i renziani metteranno o no il veto su Conte nelle consultazioni?

Resta sullo sfondo una disponibilità a rientrare in un nuovo esecutivo senza veti personali, insieme alla certezza di contare nel pallottoliere della fiducia per una maggioranza che non sia quella di centrodestra. Con quali richieste? Verranno rimessi sul piatto punti concretamente lontani dalla realizzabilità come il ponte sullo Stretto di Messina? E l’aut aut sul Mes?

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