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Polonia, parla la fondatrice del movimento per il diritto all’aborto: «Mia figlia mi chiede: mamma, devo avere paura della polizia?»

14 Febbraio 2021 - 10:04 Angela Gennaro
Dominika Kasprowicz racconta a Open come la battaglia delle donne polacche contro la legge che limita l'interruzione di gravidanza stia diventando una protesta globale contro il governo

«Non pensiamo che la situazione possa davvero cambiare nei prossimi giorni o mesi. Potrebbero volerci 15 anni, come per le nostre amiche in Argentina». Sospira, Dominika Kasprowicz, attivista e fondatrice di Ogólnopolski Strajk Kobiet, movimento polacco per lo sciopero delle donne e per il diritto all’aborto. Fa l’insegnante, vive in una piccola cittadina e ha tre figli. «Capita che le mie due figlie di 10 e 13 anni mi chiedano: mamma, dobbiamo fidarci della polizia?», racconta. «E io mi ritrovo da qualche tempo a dover spiegare loro che nelle manifestazioni no, non possiamo fidarci: non siamo dalla stessa parte».

Sono migliaia le persone che hanno manifestato da ottobre a Varsavia e in altre città della Polonia contro quello che nei fatti è un divieto quasi totale di abortire. E, secondo le attiviste, la repressione delle proteste sta diventando sempre più violenta. «Gas lacrimogeni e al peperoncino sono ormai la norma», dice Dominika Kasprowicz.

La repressione

EPA/Leszek Szymanski | Una manifestazione a Varsavia, Polonia, 29 gennaio 2021.

È rigido l’inverno polacco. Con temperature che scendono sotto lo zero e arrivano di notte a -14 gradi. Ma si scende in piazza, ancora e ancora. Nonostante il ghiaccio, nonostante la pandemia di Coronavirus. Per difendere il diritto all’aborto, ma non solo. «Quella è la scintilla, qualcosa di così controverso da portare la gente a uscire per strada e protestare. Ma ormai è solo una delle questioni aperte con questo governo», spiega a Open Dominika.

«In borsa ora porto sempre una maschera protettiva per il gas e il paradenti da boxe», dice. «A volte le persone vengono prelevate e portate nelle stazioni di polizia, a centinaia di chilometri, in modo che sia più difficile per gli altri manifestanti andare sotto alla centrale a portare solidarietà». Le storie di violenza non mancano. «Un’amica diciannovenne è stata picchiata durante le proteste: ora ha un grave disturbo da stress post-traumatico. A un’altra amica hanno spezzato il braccio ed è stata sottoposta a tre operazioni. Non crede più alle istituzioni», racconta l’attivista.

Si scende in piazza non solo per difendere il diritto all’aborto. «In cima alle priorità c’è anche la questione della violenza contro le donne, i bambini e le bambine e contro chi per qualche ragione è discriminato. E i diritti della comunità Lgbtq». Di fatto, il piano dello scontro, ormai, è un altro. «Sbarazzarsi di questo governo. È questo quello che la gente vuole».

La lotta per il diritto all’aborto

EPA/Leszek Szymanski | Una manifestazione a Varsavia, Polonia, 29 gennaio 2021.

L’interruzione di gravidanza, in Polonia, resta possibile solo nei casi di stupro o incesto, mentre viene proibita in caso di malformazione del feto: diventano così illegali il 98% degli aborti fino a qui effettuati nel paese, esponendo le donne – che non riescono ad andare all’estero ad abortire, per questioni economiche o perché bloccate dalla pandemia, o a ricorrere ad altri metodi – a rischi elevatissimi in caso di interventi illegali.

A detta delle attiviste di Stajk Kobiet (ovvero “Sciopero delle donne”), la sentenza della Corte costituzionale che a ottobre ha esteso il divieto di aborto e la cui entrata in vigore era stata ritardata fino a un paio di settimane fa proprio in ragione delle enormi manifestazioni di piazza, «non è una sentenza e non ha alcun valore legale». La Corte Costituzionale, per loro, «è illegale, perché alcuni membri sono stati nominati in modo controverso e di fatto non formalmente legale», spiega Dominika Kasprowicz.

«Qualunque sentenza produca la corte è quindi di fatto a sua volta illegale e non ha forza di legge. Di fatto non c’è più una democrazia». Le attiviste di Ogólnopolski Strajk Kobiet stanno raccogliendo ora, insieme al partito di sinistra Lewica, le firme per proporre un nuovo progetto di legge sull’aborto.

EPA/Leszek Szymanski | Una manifestazione a Varsavia, Polonia, 29 gennaio 2021.

«Abbiamo commissionato un sondaggio e scoperto che il 70% circa dei polacchi e delle polacche supporta lo sciopero delle donne e quello che stiamo provando a ottenere», racconta ancora Kasprowicz. Allo stesso tempo però «la gente è spaventata». E tra chi ha paura c’è anche il personale medico: «I medici dicono che non possono più aiutare le donne nelle interruzioni di gravidanza, perché andrebbero incontro a conseguenze legali e alla prigione», racconta l’attivista polacca.

«Dal canto nostro cerchiamo di persuaderli del fatto che nulla è cambiato, che se dovessero essere perseguiti noi li aiuteremmo nella battaglia legale, andando di fronte alle istituzioni europee. Ma non basta».

Un movimento giovane

EPA/Leszek Szymanski | Una manifestazione a Varsavia, Polonia, 29 gennaio 2021.

È un «governo di minoranza», per l’attivista, quello che c’è oggi in Polonia, guidato dal partito di destra Diritto e Giustizia (PiS), assai vicino alle gerarchie cattoliche che da sempre hanno un ruolo centrale nella politica del paese. «Un governo lontano da quello che la gente sente, e affatto rappresentativo», dice. Ora la stanchezza si sente, ma quello che dà forza è vedere la partecipazione di chi è più giovane, a quattro anni dall’inizio delle lotte per il diritto all’aborto.

«Stiamo combattendo per le nostre figlie e nipoti. Non sarà ottimistico, ma così è. Dobbiamo continuare a lottare», prosegue l’attivista. «I cambiamenti che vediamo nella mentalità delle persone polacche rappresentano già un grande successo. Stiamo parlando di aborto, non è più un tabù. Le donne che hanno abortito stanno cominciando a guardare la gente a testa alta e ad ammetterlo, senza pentirsi».

Mentre Marta Lempart, leader delle proteste e di Strajk Kobiet, rischia fino a otto anni di carcere, accusata di aver organizzato una manifestazione in violazione delle restrizioni anti-Covid e di aver insultato i poliziotti – tra chi scende in piazza, i e le giovani «conoscono già i loro diritti umani e civili», dice ancora Dominika Kasprowicz. «Noi, la vecchia generazione, siamo invece cresciute con una cultura triviale e una chiesa cattolica presente e potente che ha preso il controllo della vita politica».

Oggi quella vecchia generazione «si sta finalmente sollevando per i propri diritti. Mentre la giovane la lotta ce l’ha già nel sangue e nelle viscere. Va per strada a dire: “F*******i. Questo non è il paese in cui voglio vivere e lo cambierò, perché non mi piace”. Non hanno paura. E non credono nei compromessi, mentre noi siamo stati represse per così tanto tempo». 

EPA/Leszek Szymanski | Una manifestazione a Varsavia, Polonia, 29 gennaio 2021.

L’Europa

L’Europa, nel frattempo, ha condannato il divieto quasi totale di aborto in Polonia. Ma non basta. «Abbiamo visto qualche gesto simbolico, niente di più». Il fatto è che «il nostro governo non si fermerà fino a che non verrà fermato», avverte l’attivista. «E dobbiamo fermarlo noi, fisicamente. Ma abbiamo bisogno del sostegno dell’Europa». Non nella forma di dichiarazioni di sostegno, «ma di azioni da intraprendere. Di sanzioni». 

In copertina EPA/Leszek Szymanski | La leader del movimento per lo Sciopero delle donne, Marta Lempart, nel corso di una manifestazione a Varsavia, Polonia, 29 gennaio 2021.

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