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Egitto, lo studente di Vienna Santawy vive l’incubo di Zaki. La fidanzata: «Ha subito violenze in carcere» – L’intervista

20 Febbraio 2021 - 12:41 Riccardo Liberatore
Tornato in Egitto per passare qualche settimana con la sua famiglia, Ahmed Samir Santawy, studente egiziano dell'Università europea di Vienna, è stato trattenuto nella stazione di polizia e poi trasferito in carcere con l'accusa di aver «aderito a un gruppo terroristico»

Ahmed Samir Santawy, lo studente egiziano dell’Università europea di Vienna arrestato al Cairo a inizio febbraio, sta vivendo lo stesso incubo di Patrick Zaki. Il 5 febbraio la sua famiglia e l’università avevano suonato l’allarme: Ahmed era scomparso da quattro giorni dopo essere entrato in una stazione di polizia nella capitale egiziana, dove era stato accompagnato dal padre e da cui però non era più uscito.

Le autorità egiziane avevano risposto alle domande angosciate dei familiari alzando le spalle: di Ahmed non sapevano nulla. Dopo qualche giorno è arrivata la conferma dell’arresto con l’accusa di «aderire a un gruppo terroristico, diffondere notizie false intese a minare la sicurezza e l’ordine pubblico e utilizzare un account Facebook a tale scopo». Infine, il 17 febbraio, la detenzione è stata prorogata per altri 15 giorni.

La famiglia di Ahmed, compresa la sua compagna Souheila, non hanno mia potuto comunicare con lui. «Non parlo con Ahmed dal 1 febbraio, poco prima che entrasse nella stazione di polizia – ci racconta al telefono Souheila -. Lo avevo chiamato poco prima. Ero arrivata quel giorno ad Alessandria e aveva in programma di raggiungermi lì. Gli avevo detto di aspettare, ma lui era convinto che la polizia avrebbe voluto soltanto fargli qualche domanda, niente di più».

Il ritorno al Cairo

Souheila e Ahmed si sono conosciuti in Egitto, quando erano entrambi studenti all’Università del Cairo. Si sono ritrovati in Belgio, dove lei era cresciuta con la sua famiglia. Come molti altri studenti egiziani, anche Ahmed aveva l’ambizione di studiare all’estero e dopo qualche anno era riuscito ad ottenere una borsa di studio per continuare i suoi studi all’Università europea di Vienna. Un’esperienza bella ma al contempo difficile, anche perché, come racconta Souheila, Ahmed «ama troppo l’Egitto» e voleva tornare.

«Come per tutti, è stato un anno difficile a causa del Covid e dei lockdown. Ahmed, era felicissimo di tornare a casa per rivedere la sua famiglia, non vedeva l’ora. I suoi amici gli avevano detto di fare attenzione, di concentrarsi sugli studi e di tornare solo dopo averli terminati, ma lui vive alla giornata».

Nel suo caso non c’erano state avvisaglie, anche se, come racconta Souheila, diversi loro amici sono stati arrestati negli anni per il loro attivismo politico sui social. Sia Ahmed che la sua compagna avevano partecipato ai primi moti della primavera araba e alle manifestazioni in Piazza Tahrir, ma si tratta di un’epoca ormai lontana. Adesso domina la preoccupazione e lo sconforto per quello che è accaduto. «A volte penso che posso andare avanti, ma in altri momenti cado a pezzi».

I maltrattamenti e le accuse infondate

Come tutti gli amici di Ahmed e della sua famiglia, anche Souheila non si capacita dei reati a lui imputati. «Scriveva soltanto pensieri personali sui propria social, non è una figura pubblica. Amava scrivere e condividere storie, tutto qui». Come ricercatore si occupava di diritti umani, dei diritti delle donne e in particolare delle leggi anti-aborto in Egitto, dove aveva collaborato con un centro di ricerca sui diritti.

Ricerche scomode, ma che non arrivano a spiegare le accuse a suo carico, così come il trattamento da lui subìto. «Sappiamo dalle testimonianze e informazioni che hanno raccolto i suoi legali che durante i primi giorni dell’interrogatorio è stato picchiato malamente, sul corpo e sul volto», racconta Souheila. «Lo volevano intimidire».

L’appello della famiglia

«La cosa peggiore è stata quando hanno rinnovato la sua detenzione senza averci dato nemmeno la possibilità di parlare con lui. È assolutamente illegale. Secondo la legge, infatti, dovrebbe essere permesso visitare una persone in carcere dopo 11 giorni. Invece, quando i suoi genitori ci hanno provato, è stato detto loro di presentare una richiesta ufficiale e di tornare dopo un mese. Per questo motivo – continua Souheila -. tramite l’università abbiamo chiesto di avere la possibilità di telefonargli per assicurarci che stia bene, fisicamente e psicologicamente».

La sua speranza è che le autorità austriache possano fare qualcosa per Ahmed. «Il suo caso è soltanto uno tra centinaia. Per far sì che arrivi al procuratore bisogna avviare nuovamente contatti diplomatici tra i due Paesi. Abbiamo intenzione di organizzare una manifestazione davanti all’Ambasciata egiziana a Vienna. Non ci arrendiamo».

Foto di copertina: Facebook

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