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«Bloccato l’export dei vaccini»: scambio di accuse tra Ue e Regno Unito. Ma Londra continua a nascondere i dati

Alla richiesta di Open di poter verificare i dati sull'esportazione dei farmaci, il dipartimento della Salute inglese ha ribadito che le dichiarazioni su presunte restrizioni «sono completamente false»

Unione Europea e Regno Unito sono di nuovo ai ferri corti. L’ex capo negoziatore inglese per la Brexit, ha ribadito che il meccanismo per il controllo dell’export sui vaccini fuori dall’Ue definito dall’Europa a fine gennaio, mostra un atteggiamento di «nazionalismo sui vaccini». La scorsa settimana, proprio nell’ambito del meccanismo Ue che prevede che le aziende produttrici di vaccini debbano chiedere un’autorizzazione all’export al governo del Paese in cui questi vaccini vengono prodotti, l’Italia ha bloccato la richiesta di esportazione verso l’Australia di 250 mila dosi di AstraZeneca prodotte nello stabilimento italiano di Anagni. Una decisione che è stata appoggiata anche dalla Commissione europea.

Ieri, dunque, dopo l’ennesimo scontro sull’Irlanda del Nord, e le tensioni delle scorse settimane, il negoziatore per la Brexit, Michael Gove, ha intimato all’Europa di «scrollarsi di dosso qualsiasi cattiva volontà rimasta nei nostri confronti, per ripartire». Alle critiche arrivate da Londra, l’Ue ha risposto con le parole del presidente del Consiglio, Charles Michel, che in un lungo intervento ha difeso la strategia europea sui vaccini, rigettando le accuse di nazionalismo.

Stando ai dati, secondo quanto fatto trapelare dalla Commissione Europea, delle oltre 24 milioni di dosi esportate al di fuori dell’Ue, la maggior parte è andata al Regno Unito. Londra è infatti stata la beneficiaria di oltre 8 milioni di dosi. Come precisato settimane fa, tra il 30 gennaio e il 10 febbraio, l’Ue ha concesso 37 autorizzazioni all’esportazione di vaccini in 21 Paesi.

Complessivamente le nazioni che hanno ricevuto vaccini prodotti nell’Ue dal 30 gennaio sono state: Australia, Bahrain, Canada, Cile, Cina, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Kuwait, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Oman, Panama, Qatar , Arabia Saudita, Singapore, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti. Nel suo intervento di martedì, Michel ha inoltre aggiunto che la maggior parte delle dosi usate da Israele, leader nelle vaccinazioni a livello mondiale, provenivano dal Belgio.

«Nessuno può negare il fatto che in Europa esportiamo un sacco di dosi», ha chiarito ancora il presidente del Consiglio europeo in un’intervista a Politico. «Il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno imposto un divieto assoluto all’esportazione di vaccini o componenti di vaccini prodotti sui loro territorio», ha detto Michel. «Sappiamo, e lo so perché sono un politico – ha aggiunto il presidente del Consiglio Ue – che ci sono diversi modi per imporre un divieto o per imporre restrizioni sui vaccini e / o sui farmaci. Ma la domanda è la seguente: quante dosi hanno esportato? Questa è una domanda molto semplice, e da ieri non ho avuto alcuna risposta a questa domanda molto semplice».

Il rifiuto di Londra

Alla richiesta di Open di poter verificare il dato sull’export, il dipartimento della Salute ha risposto che «il governo inglese non ha bloccato alcun export di vaccini. E che qualsiasi riferimento a un presunto divieto o restrizione all’esportazione è completamente falso». Tuttavia, proprio questa settimana, il premier irlandese, Micheál Martin ha rivelato che la sua controparte inglese, Boris Johnson, ha rifiutato la richiesta arrivata da Dublino per la condivisione di vaccini. «La sua priorità è vaccinare prima la sua gente», ha riferito Martin.

Le dosi esportate in Canada e Messico

Tuttavia, le accuse di nazionalismo all’Europa sono arrivate anche dagli Stati Uniti verso cui, secondo i dati forniti da Bruxelles, l’Ue ha invece esportato nell’ultimo mese 651 mila dosi. L’Ue ha fornito vaccini anche ai due vicini di Washington, il Canada e il Messico, dopo che gli Stati Uniti hanno declinato la richiesta di aiuto arrivata dai due Paesi. Sono 3 milioni le dosi ricevuta dal Canada da parte dell’Europa, e 2,5 quelle arrivate in Messico.

È la stessa Casa Bianca, attraverso la sua portavoce, Jen Psaki, ad aver chiarito che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di condividere i vaccini con i Paesi vicini, come Canada e Messico, nel breve periodo. La priorità del presidente Joe Biden è assicurarsi che tutti gli americani abbiano accesso alle dosi. «Il presidente ha chiarito di essere concentrato nel garantire che i vaccini siano disponibili per ogni americano. Questo è il nostro obiettivo», ha riferito Psaki.

Intanto, non si sbloccano le trattative di Bruxelles per avere più dosi del vaccino di Johnson & Johnson dagli Usa. Secondo fonti diplomatiche europee, ieri, 10 marzo, alla riunione degli ambasciatori dei 27 è stato riferito che non ci si attende che gli Stati Uniti esportino dosi verso l’Unione nell’immediato futuro. Ma oltre a un problema legato alla capacità di produzione della multinazionale in Europa, a complicare la partita sta il fatto che il prodotto deve essere infialato negli Usa. Per questo si stanno valutando stabilimenti di fill and finish europei, anche in Italia.

Il blocco dell’export di materiale sanitario

Il 22 gennaio, l’Ente federale per la gestione delle emergenze negli Stati Uniti, ha anche prolungato – almeno fino al 30 giugno – il blocco dell’export di materie prime vitali per la produzione e la somministrazione di vaccini, come aghi e siringhe. Una decisione condannata nei giorni scorsi da Adar Poonawalla, amministratore delegato dell’istituto indiano Serum, uno dei più grandi produttore di vaccini al mondo. Poonawalla ha dichiarato che «i produttori di vaccini stanno affrontando una carenza globale di materie prime», a causa del blocco statunitense sull’esportazione.

Proprio la scorsa settimana, Joe Biden ha invocato il il Defense Production Act. Una legge adottata per la prima volta dagli Usa durante la guerra in Corea che consente in questo caso all’azienda Johnson & Johnson di avere una corsia preferenziale nell’acquisto dei materiali necessari per la produzione dei vaccini.

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