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L’effetto collaterale dello stop di AstraZeneca? La paura: «La parte razionale dovrà bilanciare l’emotività» – L’intervista

18 Marzo 2021 - 07:58 Maria Pia Mazza
Teresa Gavaruzzi, docente del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'Università di Padova, spiega le conseguenze psicologiche della sospensione delle somministrazioni del vaccino di Oxford

Lo stop temporaneo e precauzionale delle vaccinazioni anti Covid con AstraZeneca, in attesa del verdetto da parte dell’Ema, ha certamente avuto un impatto sulla campagna vaccinale. Secondo le stime degli esperti di Palazzo Chigi l’impatto della sospensione si attesta a circa 200 mila vaccinazioni in meno, recuperabili in circa 15 giorni. Non sarà però facile uscire da questo impasse, anche se l’Agenzia Europea del Farmaco dovesse dare un ulteriore parere positivo sull’uso del vaccino di Oxford.

Già, perché il clima di incertezza che è via via cresciuto nel corso degli ultimi giorni suggerisce che il fenomeno dell’esitazione vaccinale, che si declina in indecisione, incertezza, ritardo, riluttanza dinanzi alla possibilità di sottoporsi a vaccinazione, si è acuito e rischia di impattare non solo sulle vaccinazioni anti-Covid, ma anche «sulla fiducia nei vaccini in generale e delle istituzioni che li regolano», come spiegato dalla dottoressa Teresa Gavaruzzi, ricercatrice e docente del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’Università di Padova. La sfiducia c’è, ma non tutto è perduto. E ora più che mai sarà essenziale «ribilanciare la parte razionale rispetto a quella più emotiva».

La strada della vaccinazione con AstraZeneca era già partita in salita, anche prima del blocco precauzionale. Quali aspetti hanno contribuito a farlo percepire “peggiore” rispetto ad altri vaccini? 

«La situazione era ed è delicata e ha avuto esiti di comunicazione infelici: la fiducia è fragile, e una volta rotta è difficile ricostruirla. Dal punto di vista cognitivo, sul vaccino AstraZeneca si era già partiti con il piede sbagliato nel momento in cui l’efficacia complessiva è stata messa a confronto con altri vaccini, risultando minore. Malgrado le rassicurazioni sull’efficacia di prevenzione nei casi gravi di Covid, nell’immaginario collettivo è diventato quasi un prodotto da “lasciare” a determinate categorie, dandone una connotazione negativa. A ciò si è aggiunta la confusione sulle indicazioni dell’Aifa relative all’età per cui risulta utilizzabile: prima massimo fino ai 55 anni, poi 65 anni, poi senza limiti di età. Insomma, tutto questo ha creato informazioni contraddittorie che hanno minato la rappresentazione del farmaco».

Pensiamo a tutto quello che è successo negli ultimi giorni: i casi, le rassicurazioni, la sospensione. Come reagisce un individuo che riceve tutte queste informazioni contraddittorie?

«Le ultime informazioni, facendo leva sull’aspetto irrazionale ed emotivo, hanno creato allarmismo. E questo, ahimè, anche a causa di notizie in cui si faceva intendere una relazione di causa-effetto, laddove invece si è trattato di una relazione temporale. Il nostro modo di pensare è basato sulla cautela, e quindi qualsiasi cosa che potrebbe rappresentare un pericolo ci allerta. In questo caso di allerta siamo molto più sensibili a tutte le informazioni che provengono da un determinato canale. Questo non avviene però solo per le emozioni negative, ma vale anche per desideri associati a emozioni positive».

Per esempio?

«Supponiamo che una donna desideri una gravidanza. Guardandosi intorno potrebbe vedere un maggior numero di donne in stato di gravidanza, ma non perché queste siano aumentate, ma perché l’attenzione si rivolge a quello specifico canale. Le emozioni filtrano le informazioni: soprattutto in questi casi di allerta l’attenzione si rivolge maggiormente dove sono presenti aspetti rilevanti per la persona e per la sua autopreservazione. Tuttavia è possibile ribilanciare la parte emozionale e quella più razionale sul fronte vaccinale». 

Come?

«Si possono intraprendere due strade, che non si escludono a vicenda e anzi, potrebbero integrarsi. Da un lato il debunking che può correggere le informazioni sbagliate a posteriori. Questa disciplina talvolta fa fatica a sortire effetti data la natura più emozionale e meno razionale di questo tipo di informazioni. Basti pensare a casi analoghi precedenti, come alle vaccinazioni con l’antinfluenzale Flaud nel 2014. C’è poi il pre-bunking: in questo specifico contesto, sapendo che ci sono e ci saranno moltissime vaccinazioni, si dovrebbe comunicare in anticipo che ci potrebbero essere degli eventi avversi e anche quantificarli. Questi non sono necessariamente dovuti alla somministrazione, ma sono attesi dal punto di vista statistico: vengono monitorati e analizzati per comprendere se si tratta di casualità o se sussistono fattori di maggiore sensibilità al vaccino».

Il Governo ha reso noto che «l’impatto della sospensione di AstraZeneca sulla campagna può valutarsi su 200mila vaccinazioni in meno», recuperabile in circa 15 giorni. Forse non si è tenuto conto del possibile effetto psicologico?

«Avere i vaccini non implica necessariamente che si arrivi ad avere le vaccinazioni, il che richiede l’accettazione delle persone. Su questo influiscono molti aspetti, dall’organizzativo alla fiducia. Paradossalmente, forse, il blocco totale rispetto allo stop solo di alcuni lotti preserva un po’ di più la fiducia generale. Questo perché l’effetto domino di stop a specifici lotti, dal punto di vista cognitivo, ha aumentato la confusione e l’incertezza generale. In tal senso abbiamo osservato molte rinunce e disdette, a macchia di leopardo».

L’esitazione vaccinale, già pre-esistente, è quindi aumentata?

«Al momento non ci sono dati specifici, ma le molte rinunce e i casi precedenti suggeriscono di sì. L’aver sospeso tutto certamente ha e avrà un impatto negativo sulla percezione del rischio e della sicurezza da un punto di vista emozionale e cognitivo. Ma al contempo, paradossalmente, il blocco unico potrebbe preservare, almeno sul profilo psicologico, un po’ di fiducia generale. Essendo ancora nel mezzo della pandemia, e prendendo razionalmente atto dell’impatto della Covid e degli esiti più infausti che ha la malattia sulle persone, il rischio della malattia è ancora nettamente maggiore rispetto agli eventi potenzialmente avversi legati alla vaccinazione, quindi non sarebbe razionale che il “rifiuto” del vaccino sia così marcato, profondo e duraturo». 

Questo “scenario” potrebbe essere sovrapponibile anche a quanto accadeva prima del blocco, no?

«Sì, anche prima del blocco temporaneo su tutti i lotti di AstraZeneca, mentre c’era chi rinunciava alla vaccinazione, c’era chi si offriva comunque per riceverla, perché in questo momento la scarsità di vaccini li rende ambiti da molti. Questo scenario non è detto sia svanito: si è indebolito e ha perso un po’ di fiducia. Qualora l’Ema dovesse confermare che il rapporto “beneficio-rischio” è favorevole, e che quindi si può tornare a procedere con le vaccinazioni con questo prodotto specifico, è plausibile che ci saranno persone che vorranno farsi vaccinare anche con AstraZeneca, anche al netto delle nuove eventuali indicazioni dell’Ema».

Come approcciarsi alla comunicazione su queste questioni in campo istituzionale, giornalistico e nella sfera privata?

«A livello istituzionale il messaggio deve essere univoco, chiaro, non contraddittorio e autorevole. A livello di comunicazione giornalistica il trade off è tra il dovere di informare e come viene interpretata l’informazione che si dà, evitando di suggerire cause-effetto al lettore che potrebbero insinuare il tarlo del dubbio, difficilmente poi estinguibile: si tratta di responsabilità. Quanto alla comunicazione individuale, sia nella sfera privata, sia in quella tra medico e paziente, dovrebbe essere posto al centro il rapporto “beneficio-rischio”». 

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

«Il timore è che la sfiducia abbia ripercussioni non solo sul vaccino AstraZeneca e sui vaccini contro la Covid, ma proprio sulle vaccinazioni in generale, così come verso le istituzioni che regolano farmaci e vaccini. Il contributo delle modalità di esporre le notizie ha certamente pesato sull’opinione pubblica, ma anche la comunicazione istituzionale ha fatto del suo. Rassicurare le persone e poi bloccare dopo il tutto il giorno dopo non ha rappresentato un messaggio unico e coerente. Sarà certamente una ferita difficile da guarire, e sarà molto difficile da spiegare il rapporto “beneficio-rischio” e recuperare la fiducia nelle vaccinazioni, specifiche per Covid e no. Insomma, sotto il profilo cognitivo, sarà importante ascoltare i dubbi e le incertezze, informare e dare risposte coerenti tra loro, ribilanciando la parte razionale rispetto a quella più emotiva».

Illustrazione in copertina: Photo by visuals on Unsplash

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