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Non sarà il divieto di esportazione a risolvere la crisi dei vaccini. Anzi, non farà che aggravarla

19 Marzo 2021 - 15:38 Federico Bosco
Per ora l'Ue è ferma alle minacce, ma settimana prossima potrebbe essere presa una decisione che porta con sé tanti rischi

Mercoledì Ursula von der Leyen ha minacciato di vietare le esportazioni di vaccini da Covid-19 prodotti nell’Unione europea verso i paesi che sono più avanti nella campagna vaccinale, accusando il Regno Unito di non rispettare il principio di reciprocità esportando vaccini nell’Ue. Italia e Francia sono disposti a valutare il blocco, mentre Belgio, Paesi Bassi, Irlanda e altri nordici chiedono più cautela, e mettono in guardia dalle possibili conseguenze sulle altre aziende. La decisione resterà in sospeso fino alla prossima settimana, quando i leader si riuniranno nel Consiglio europeo di giovedì. «Tutte le opzioni sono sul tavolo, siamo nella crisi del secolo», ha detto von der Leyen.

Nel frattempo, anche il Regno Unito sta subendo carenze nelle forniture, obbligando il governo a una temporanea sospensione del piano per estendere le vaccinazioni alle persone con età inferiore ai 50 anni. L’azienda indiana Serum, tra i maggiori produttori di vaccino AstraZeneca, ha annunciato ritardi nelle consegne. Le 5 milioni di dosi attese per fine marzo arriveranno a destinazione con qualche settimana di ritardo. 

Il principale produttore mondiale di vaccino AstraZeneca infatti è l’India (38% del totale), non l’Ue (25%), né il Regno Unito (21%). Perciò, se l’Ue applicasse un blocco delle esportazioni proprio ora, Londra non potrebbe fare a meno rispondere con una rappresaglia. Una guerra commerciale sui vaccini darebbe il via a una spirale di ritorsioni che coinvolgerebbe anche gli Stati Uniti e gli altri o produttori, cosa che l’Ue non vuole assolutamente. Tuttavia, sarebbe inevitabile.

Vaccini, una filiera globale e interconnessa

Le catene di approvvigionamento sviluppate negli ultimi sei mesi per produrre e distribuire i vaccini Covid-19 in tutto il mondo sono interconnesse a livello globale. Moderna produce ingredienti in Svizzera, confeziona le dosi in Spagna, e da lì le spedisce agli acquirenti al di fuori degli Usa. Anche Pfizer ha tutta la sua produzione destinata al mercato extra-statunitense all’interno dell’Unione. Tali strutture dipendono a loro volta da materiali, prodotti e ingredienti sofisticati importati dal Regno Unito e dagli Usa. Un blocco causerebbe danni sulle due sponde dell’Atlantico e nei paesi terzi, compresi quelli che stanno ancora spettando i primi vaccini. 

I quattro nodi della campagna europea

Per l’Ue, che ha il problema della carenza di vaccini, l’unico risultato sarebbe aggravare ulteriormente una situazione già pessima. Ancora una volta, la politica della Commissione e degli Stati membri è guidata da un misto di mentalità legalistica – come il blocco all’uso del vaccino AstraZeneca – e la tendenza a cercare un capro espiatorio. L’Europa è nel panico, guidato da quattro incompatibilità: la mancanza di scorte, una campagna contro uno dei produttori, un aumento costante dei contagi, pressioni politiche per revocare le restrizioni prima della Pasqua.

La sospensione dell’utilizzo del vaccino AstraZeneca ha aumentato inutilmente la pressione. Il via libera dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha obbligato l’agenzia a sottolineare che «i benefici sono superiori ai rischi», ma senza escludere un legame con i rari casi tromboembolici. Tutto questo dopo che il Regno Unito lo ha usato su 25 milioni di persone senza riscontrare problemi tali da giustificare uno stop. Il ritardo di questi giorni forse sarà recuperato, ma la diffidenza in un vaccino (o in tutti) potrebbe non essere recuperata mai più.

La Commissione e i governi sono nel panico

La politica è nel panico, in parte ingiustificato. Dal prossimo mese le strozzature dell’offerta globale si allenteranno, problemi delle forniture saranno risolti e da metà aprile i vaccini arriveranno. Anche a quel punto però ci vorrà ancora del tempo. Con la variante B.117 che diventa il ceppo dominante, proprio come è accaduto nel Regno Unito durante il periodo da settembre a gennaio, ci si deve aspettare un aumento dei contagi anche nell’Europa continentale. Giovedì l’istituto tedesco Robert Koch ha dichiarato che in Germania la variante B.117 caratterizza il 75% dei nuovi contagi.

Nel Regno Unito ci sono voluti tre mesi per inoculare la prima dose a 25 milioni di persone (il 37% del totale), nel frattempo c’era il lockdown. Anche quando la fornitura non sarà un problema, ci vorrà tempo per ottenere i primi risultati. Costruire false aspettative di una svolta a breve termine rischia solo di irritare ulteriormente un’opinione pubblica già stremata.

Come è successo nel Regno Unito, ma anche in Israele, le restrizioni resteranno fino a quando il programma di vaccinazione non sarà arrivato a uno stadio abbastanza avanzato da produrre risultati, e ciò richiede mesi, non settimane. L’orizzonte del 70% di adulti vaccinati entro settembre è realistico, ma va chiarito cosa significa realmente. Altrimenti, quando le persone capiranno come stanno le cose se la prenderanno con l’Ue e con i governi, non con le case farmaceutiche e con i britannici.

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