Lo sfogo del capo della Irbm di Pomezia: «Su Astrazeneca un trattamento poco sereno. Ritardi? Non è come fare pillole»

Il presidente dell’azienda che ha collaborato alla produzione del vaccino difende la casa farmaceutica dopo i numerosi attacchi e critiche cominciati sin dalla sperimentazione: «Quando si parlava di errori, ma erano scoperte casuali» sull’efficacia più alta del previsto

«Ritenere che il trattamento riservato al nostro vaccino non sia stato proprio sereno non è un’affermazione esagerata». A parlare, dopo la riconferma della sicurezza e dell’efficacia da parte dell’Ema del vaccino anti-Covid di AstraZeneca, è Piero Di Lorenzo, presidente dell’Irbm di Pomezia, l’istituto italiano che collabora con l’azienda biofarmaceutica svedese nei test di controllo sul vaccino. Una strada tutta in salita per questo vaccino, che sin dall’inizio ha subito una serie di battute d’arresto a singhiozzo, che ne hanno minato l’immagine pubblica e di conseguenza l’opinione della popolazione nei confronti di questo specifico vaccino. 


Certo, i problemi sulle consegne mancate all’Europa (e di conseguenza anche all’Italia) non aiutano. Ma d’altra parte, «l’azienda sta facendo uno sforzo sovrumano per organizzare la produzione e la distribuzione di 3 miliardi di dosi del vaccino senza guadagnare un centesimo», spiega ancora Di Lorenzo in un’intervista al Corriere della Sera. A ciò si aggiunge il fatto che «fare vaccini non è come fare pillole: è un processo vivo la cui resa è sempre sconosciuta fino a quando non si comincia a ragionare su scala industriale», a cui si sono aggiunti i problemi sul sito di produzione in Belgio e la Brexit, «che non ha affatto aiutato la soluzione dei problemi». L’aver stipulato accordi prima di essere a conoscenza dell’effettiva capacità produttiva su scala industriale del vaccino ha portato di conseguenza a continui “assestamenti” nel numero di dosi prodotte e consegnate. 


E a generare una percezione negativa sul prodotto potrebbe aver influito anche il prezzo di vendita, fissato a 2,80€, più basso rispetto a quello di Pfizer e Moderna. «Nel prezzo – spiega Di Lorenzo – non è stato incluso alcun profitto per AstraZeneca», e forse «qualche banda locale può aver strumentalizzato il prezzo di vendita per far passare l’idea che fosse dovuto a un’efficacia minore». Ma a detta del presidente dell’Irbm il basso prezzo del vaccino non è un errore, ma una scelta etica: «Sono molto orgoglioso di aver condiviso questa splendida avventura con partner prestigiosi come la Oxford University e AstraZeneca». 

E se il blocco preventivo e precauzionale nei 16 Paesi ha sicuramente concorso all’aumento di sfiducia e incertezza verso il vaccino, dall’altra parte Di Lorenzo si dice rincuorato «dalla certezza che i medici e gli scienziati, a parte qualche eccezione irrilevante, siano ben convinti di quanto sia efficace e sicuro il vaccino che AstraZeneca sta distribuendo nel mondo». 

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