Dopo le ferie forzate dal lavoro in una Rsa di Belluno di due infermieri e otto operatori sociosanitari che avevano rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid, vien da sé chiedersi quanti siano i medici e gli infermieri ospedalieri che, a oggi, a tre mesi dal V-Day, hanno rifiutato la vaccinoprofilassi. Stando ai dati elaborati dall’Ansa dopo un confronto con Anaao-Assomed e Fnopi, rispettivamente il principale sindacato dei medici ospedalieri e la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche, risulta che circa l’1-2% dei medici ospedalieri, quantificabili tra 1.140 e 2.280 unità (su un totale di 114.000 medici attivi) e circa 100 infermieri dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (su un totale di 254mila) hanno rifiutato la profilassi vaccinale. Il segretario Anaao, Carlo Palermo, e la presidente Fnopi, Barbara Mangiacavalli, sottolineano dunque che «la grandissima maggioranza dei medici e degli infermieri ospedalieri si è vaccinata».
Nuove mansioni per chi rifiuta
Palermo ha osservato che «chi opera nell’ambito sanitario è tenuto a garantire la sicurezza delle cure, che è parte costitutiva del diritto alla salute, come sancisce l’art. 1 della legge Gelli-Bianco. La vaccinazione del personale sanitario serve a tutela di chi è più debole e più fragile per età o stato di salute, ma anche – sottolinea – per difendere gli stessi operatori che rappresentano la risorsa più preziosa durante una epidemia, essendo coloro che devono erogare assistenza e cura ai cittadini colpiti dal virus». E chi dovesse non sottoporsi a vaccinazione? A detta del segretario dell’Anaao, «il rifiuto apre la strada ad una dichiarazione di inidoneità da parte del medico competente. In questi casi, – prosegue Palermo – il lavoratore può essere destinato ad altre mansioni che non comportino un rischio biologico aumentato. Nel caso questa possibilità fosse preclusa, il lavoratore può essere posto in aspettativa senza stipendio fino alla regressione del rischio».
Il nodo dei liberi professionisti
Sul fronte infermieristico, «quantificare il numero di immunizzati è più complesso», spiega la presidente Mangiacavalli. Tuttavia, «si può stimare che oggi lo siano circa l’85% di tutti gli iscritti agli albi, oltre 454mila. Questo considerando però che ci si avvicina al 100% di vaccinati tra gli infermieri dipendenti, tranne rare eccezioni “attendiste” che sono nell’ordine del centinaio». Diverso il discorso per gli infermieri liberi professionisti che non operano in ospedale e che «non sono stati considerati tra le priorità nelle campagne vaccinali, e solo in alcune Regioni lo sono diventati visto il massiccio supporto che danno nella lotta alla pandemia e per i pensionati». Questa categoria è circoscrivibile in circa «70mila unità con iscrizione agli albi professionali», anche se molti di loro «sono tornati in prima linea per dare aiuto contro Covid-19. Ma il loro turno per la vaccinazione è legato comunque all’età».
Foto in copertina: ANSA/LUCA ZENNARO
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