Il virtuoso “modello Veneto” non esiste più. E a decretarne la fine, ancora una volta, è il professor Andrea Crisanti che, a margine di un convegno della Spi-Cgil, ha attaccato duramente la gestione della pandemia di Coronavirus nella regione guidata da Luca Zaia. «Se durante la prima ondata la regione Veneto ha dimostrato che l’arma vincente era l’identificazione precoce delle catene di trasmissione e questo si poteva fare soltanto attraverso il tampone molecolare. A maggio, quando siamo usciti da questa crisi, – spiega Crisanti – c’era l’opportunità di fare investimenti per aumentare questa capacità». Ma così non è stato. E il Veneto, anziché «investire in strutture per processare i tamponi molecolari», ha preferito puntare sui test rapidi antigenici, che secondo lui «fanno schifo».
«Le varianti sono totalmente invisibili ai test rapidi»
L’errore del Veneto starebbe innanzitutto negli investimenti, dirottati nella direzione sbagliata. Crisanti ricorda come finora la Regione abbia speso «260 milioni di euro per tamponi antigenici senza investire in infrastrutture». Insomma, «se la Regione Veneto invece di adoperarsi alacremente e freneticamente per i tamponi rapidi avesse investito in laboratori di microbiologia non saremmo in questa situazione». Una situazione dovuta anche alla circolazione delle varianti che, secondo precedenti dichiarazioni di Crisanti, «sono totalmente invisibili ai test rapidi» e sfuggono al tracciamento, diversamente da quanto accade con i tamponi molecolari.
«Non si può creare il problema e poi trovare una soluzione che è peggio del problema»
Ma quando è nata questa “stortura”? Secondo Crisanti è frutto di «scelte fatte mesi fa. Del resto – spiega – i tamponi rapidi non sono lo strumento di lasciapassare sociale, o di filtro per le Rsa e per gli ospedali». E proprio alla luce di queste scelte, il Veneto «ha fatto più di 7 mila morti e ha il 10% dei morti su base nazionale. Di questi, un terzo dei morti sono riconducibili ai decessi nelle Rsa, che non sono state protette da questa politica. E – osserva ancora – la cosa era stata fatta notare ala Regione già a ottobre». Insomma, secondo il professore di Padova «non si può creare il problema e poi trovare una soluzione che è peggio del problema». In sostanza, secondo Crisanti, «l’ossessione della zona gialle e l’uso dei tamponi rapidi in modo indiscriminato» ha portato a tutto questo.
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