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«Io, 29enne trapiantato di reni positivo al Covid, sono sopravvissuto grazie agli anticorpi monoclonali»: la storia di Lorenzo – L’intervista

28 Marzo 2021 - 15:24 Fabio Giuffrida
È stato trattato al San Martino di Genova dopo essere risultato positivo al Covid. Con lui la vita non è stata generosa: il primo trapianto a 16 anni. «Ora va molto bene, a distanza di giorni dai monoclonali sono spariti tutti i sintomi», ci dice

«Prima il mal di schiena fortissimo, poi tanta stanchezza e infine un picco di febbre a 38». Così è iniziato l’incubo di Lorenzo Zampieri, 29 anni, di Genova, che domenica 21 marzo ha scoperto di essere positivo al Covid. Lui e la sua compagna convivente. Fin qui nulla di strano: peccato che Lorenzo, nonostante la giovane età, sia stato sottoposto a un trapianto di reni per ben due volte. La prima operazione quando aveva 16 anni, l’ultima a ottobre 2019. «Ho le difese immunitarie molto basse, per questo, nel corso della pandemia, sono stato attentissimo. Non mi sono mai tolto la mascherina e, invece, non so come ma mi sono beccato il virus», confida. I suoi medici, appresa la notizia della positività al test, si sono subito attivati e, con un tempismo perfetto, gli hanno proposto la cura con gli anticorpi monoclonali che, in quel momento, era appena arrivata in Italia.

«Adesso sto bene, spariti i sintomi»

Lorenzo, quindi, viene portato subito al San Martino di Genova, nel reparto di Malattie infettive diretto dal professor Matteo Bassetti. «Sono stato messo in una stanza isolata e, dopo i controlli di rito, ho firmato il consenso informato senza particolare timore. In realtà non ho mai avuto paura, ho fatto di peggio a causa della mia malattia. I medici, tra l’altro, mi hanno detto fin da subito che avrei avuto al massimo la nausea. Così mi hanno sottoposto a un’infusione di flebo durata 40 minuti. Poi sono rimasto un altro po’ per constatare eventuali effetti collaterali ma è andata bene. Nessun problema. Infatti sono tornato a casa nella stessa giornata», ci racconta. Insomma una cura rapida e indolore che, adesso, Lorenzo sta seguendo da casa in tutta tranquillità: «Dal giorno dopo il trattamento non ho avuto peggioramenti, anzi adesso sto molto bene. Non ho più né dolori né febbre né altri sintomi. Attendo, però, di fare il tampone». Lorenzo è, dunque, uno dei pazienti più giovani d’Italia a cui è stato applicato il trattamento degli anticorpi monoclonali.

Lorenzo non è mai stato vaccinato

Quello che fa più rabbia è che Lorenzo, nonostante la sua situazione di fragilità, non fosse stato ancora vaccinato: «Ero già nelle liste che seguono i criteri stabiliti dal governo». Un giovane con il quale la vita non è stata proprio generosa: ancora oggi assume farmaci pesanti. «Se non li prendessi, avrei un rigetto dell’organo», ci dice. E lui, che di certo non sta con le mani in mano, essendo anche dipendente di un’agenzia di pompe funebri, in questi mesi non è stato affatto tutelato: ha preso prima il Covid che il vaccino. E la storia di Marta Di Palma, prof e paziente oncologica, ne è un altro esempio: la donna si trova ancora in attesa della prima dose del Pfizer. Tutte le sue colleghe, sane, sono già state vaccinate con AstraZeneca.

Undici pazienti trattati al San Martino di Genova

Allo stato attuale solo al San Martino di Genova sono stati trattati 11 pazienti (dato aggiornato alla mattina del 28 marzo) con gli anticorpi monoclonali. Come spiega a Open il prof Matteo Bassetti, le notizie che vengono dagli States ci dicono che questo farmaco «riduce non solo l’ospedalizzazione ma anche l’evento morte». Come mai allora è arrivato così in ritardo in Italia? «Non chiedetelo a me ma a Magrini e Aifa. Qualcuno dovrebbe rispondere su questo», tuona Bassetti. Intanto, sempre secondo il direttore della clinica di Malattie infettive al San Martino di Genova, con gli anticorpi monoclonali «avremmo potuto salvare molti pazienti nella prima fase della pandemia».

Tutto quello che c’è da sapere sugli anticorpi monoclonali

Al momento – come confermano David Puente e Juanne Pili su Open – siamo in possesso di dati che supportano certamente l’efficacia degli anticorpi monoclonali e che evidenziano come non ci siano rilevanti indizi di pericolosità per i pazienti. Ma siamo solo all’inizio, almeno in Italia, quindi è necessaria la massima prudenza.

In linea di massima, si tratta di un trattamento che viene somministrato a pazienti con sintomi lievi per evitare da una parte l’aggravamento della malattia, dall’altra per ridurre nel più breve tempo possibile le ospedalizzazioni. A praticare questa cura sono (e saranno) diverse regioni: dalla Liguria al Lazio, dalla Toscana alla Campania. La somministrazione dovrà essere eseguita tassativamente entro 10 giorni dalla comparsa dei sintomi.

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