AstraZeneca e l’enigma trombosi: le ipotesi e le indagini in corso sul vaccino anglo-svedese

Il vaccino è sicuro. Ma risolvere il mistero dei coaguli è necessario

Sappiamo che in generale le trombosi hanno già una precisa frequenza e sono stati individuati determinati fattori di rischio. Parliamo della terza malattia cardiovascolare più comune. A far scattare le preoccupazioni furono inizialmente 22 casi sospetti, su un totale di tre milioni di vaccinati contro il nuovo Coronavirus con Vaxevria (AstraZeneca). Secondo quanto riportato nell’ultima conferenza stampa dall’Ema, basata su una analisi del Prac (Pharmacovigilance Risk Assessment Committee), esiste un «possibile collegamento con rari casi di coaguli di sangue insoliti con piastrine basse».


Dal 22 marzo l’ente europeo del farmaco aveva raccolto 86 casi di trombocitopenia, basati su segnalazioni di coaguli nel cervello o nell’addome a due settimane dalla inoculazione. Parliamo di una sindrome estremamente più rara rispetto alla trombosi in generale. Quali condizioni particolari si sono verificate? Davvero è possibile che dipenda esclusivamente dal vaccino? È quanto stanno cercando di scoprire i ricercatori di tutto il mondo. Vediamo quali sono le ipotesi più accreditate e chi sta già lavorando per cercare una spiegazione.


Correlazione casuale o collegamento causale?

Questa correlazione temporale tra l’evento avverso e la vaccinazione non dimostra da sola un collegamento causale. «Finora, la maggior parte dei casi segnalati si è verificata in donne di età inferiore a 60 anni entro 2 settimane dalla vaccinazione. Sulla base delle prove attualmente disponibili, i fattori di rischio specifici non sono stati confermati», precisano gli esperti del Prac.

Sapevamo già che in rare condizioni l’uso di adenovirus era stato associato a eventi tromboembolici, questo riguarda però i casi in cui tali farmaci venivano somministrati per via endovenosa. Per questo recentemente anche il vaccino Janssen di Johnson & Johnson non se la passa benissimo, anch’esso si basa su un adenovirus. Stati Uniti, Canada e Unione Europea lo hanno sospeso per il manifestarsi di coaguli in alcuni pazienti. Di questi problemi si parla anche in uno studio del 2007 apparso sul Journal of Virology. Nel fenomeno andrebbe tenuto conto quindi anche di eventuali negligenze da parte di chi esegue l’iniezione.

Il caso danese

In seguito a tutto ciò la Danimarca ha rimosso la sua somministrazione dal piano vaccinale. Questo potrebbe tardare di tre settimane il completamento dell’immunizzazione complessiva nel Paese. Al momento la Danimarca è la prima nazione europea ad aver preso una decisione così drastica. Per un addetto ai lavori, quanto riportato dall’Ente europeo del farmaco non dovrebbe apparire allarmante. Di fatto il farmaco è più sicuro di prendere un volo, solo che un viaggio in aereo non protegge dalla Covid-19, AstraZeneca invece sì, ed è dimostrato da ampi studi.

L’ansia non è mai la condizione giusta per prendere delle decisioni, perché rende più suggestionabili. Quando questa condiziona le decisioni delle istituzioni è un problema. Pensiamo ai danni che può aver fatto al piano vaccinale la sospensione di AstraZeneca in Italia il mese scorso, in attesa di una conferma dell’Ema ampiamente prevedibile.

Un mistero medico da risolvere

Non di meno, i rari casi raccolti dall’Ema restano inspiegati e i ricercatori di tutto il mondo – primi fra tutti quelli di AZ e J&J – sono chiamati a svelare quello che è stato definito da Nature un vero e proprio «mistero medico». Tralasciando l’eventuale imperizia degli operatori sanitari o la presenza di altri fattori che potrebbero accomunare questi oltre ottanta casi, quali potrebbero essere i fattori intrinseci del farmaco? Tre sono le ipotesi al vaglio: qualcosa non va nell’adenovirus; qualche particolare additivo; alcuni aspetti critici nel processo di produzione.

Questi coaguli sono potenzialmente fatali, perché possono bloccare l’afflusso di sangue a cervello e polmoni. Anche il punto in cui sono stati individuati risulta insolito: cervello e addome, quando solitamente ce li aspettiamo nelle gambe. L’unico precedente sembra essere in rari casi di trombocitopenia dovuta alla somministrazione di eparina, che per ironia della sorte dovrebbe prevenire la coagulazione. Anche se le donne sotto i sessant’anni sembrano essere i soggetti più esposti, non è detto che queste condizioni siano un fattore di rischio, perché in molti Paesi è stata data priorità per Vaxevria agli operatori sanitari, e in questo settore le donne sono piuttosto numerose. 

Due progetti di ricerca in corso

Attualmente sono in corso due progetti di ricerca: quello della Erasmus University Medical center di Rotterdam e quello di University Medical center di Utrecht. Coinvolgono 22 centri ospedalieri e i loro dati saranno presi in esame dall’Ema entro i prossimi due mesi. Lo scopo è quello di individuare fattori di rischio e fasce di popolazione ritenute a rischio di subire questo pur raro evento avverso. 

Oppure potrebbero potrebbe essere accertato definitivamente che il vaccino non c’entra, individuando altri potenziali fattori che accomunano i casi raccolti. Un altro fronte di questa ricerca è infatti quello di accertare la reale incidenza di questi particolari coaguli nella popolazione generale, tra persone non vaccinate. Non sarà facile, ormai non più: la propaganda negativa che è stata fatta nei giorni scorsi dai media, potrebbe portare a incrementare notevolemente solo le segnalazioni collegate temporalmente al vaccino, trascurando tutti gli altri casi, gonfiando il tasso percepito con cui si verifica la sindrome.

Abbiamo già alcuni esempi di trombocitopenia spontanea, avvenuti quindi in assenza di trattamenti considerati a rischio, come iniezioni di eparina o inoculazione di vaccini a vettore virale. Tra i fattori correlati sono stati registrati infezioni, chirurgia del ginocchio, e trattamenti con altri farmaci; con reazioni che risultano pressoché identiche a quelle collegate al vaccino di AstraZeneca. È plausibile quindi che la soluzione del mistero risieda maggiormente nei soggetti inoculati. Non ci resta che attendere il nuovo responso dell’Ema nei prossimi mesi.

Leggi anche: