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Scuola, Miozzo consiglia di fare «lezione all’aperto» per stare più sicuri. Ma è davvero così facile?

Prima si sono stanziati 1,5 miliardi per l'edilizia leggera, poi si consigliano le lezioni all'aperto: ecco come il Ministero punta a un'estate di esperimenti didattici

Le scuole riaperte al 100% sono un «grande risultato», sostiene l’ex coordinatore del Cts e attuale consulente del Ministero dell’Istruzione Agostino Miozzo. Ma, dice, dove è possibile è meglio andare a fare lezione nei parchi, ché gli spazi chiusi presentano sempre dei rischi. A oltre un anno dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, l’organizzazione della didattica fa acqua da tutte le parti. In un continuum di dichiarazioni istituzionali, le contraddizioni sono evidenti. Da una parte le varianti corrono di più tra i ragazzi ma si torna in classe alle stesse condizioni di prima senza proporre aggiornamenti ai protocolli. Dall’altra le aule sono considerate il luogo «meno a rischio contagio che esista» ma non abbiamo dati che lo dimostrino perché da gennaio abbiamo smesso di aggregare i dati.

Ora, a una settimana dal rientro in classe della totalità degli studenti in zona arancione e gialla, Miozzo chiede che venga incentivata la didattica all’aperto perché «all’esterno si riducono le possibilità di contagio». Complice la bella stagione, i presidi e gli insegnanti possono portare i loro studenti fuori: «basta un po’ di fantasia», dice, un po’ di «capacità d’adattamento». Eppure lo scorso dicembre erano stati investiti 1,5 miliardi di euro in fondi per l’edilizia scolastica (3 miliardi di euro in tutto per la riapertura in sicurezza), e con il decreto Sostegni sono arrivati altri 300 milioni di euro, 150 dei quali destinati all’aerazione artificiale. E poi ci sono i 390 milioni di euro destinati al servizio di trasporto pubblico, di cui però una parte «deve essere ancora spesa» (Draghi dixit).

Gli investimenti, quindi, non sono bastati. O forse sono stati spesi male, visti i 95 milioni di euro destinati ai banchi a rotelle, acquistati e poi lasciati al 50% nei magazzini. Sicuramente a questo punto è meglio trovare una strategia alternativa piuttosto che ripiegare sulla Dad mentre tutte le altre attività sono aperte. Politicamente, ma anche scientificamente, non sarebbe una scelta sensata. Ma la scuola all’aperto è fattibile su due piedi? Basta semplicemente dire ai presidi «se è bel tempo organizzate lezioni in giardino?». O sarebbero necessarie delle linee guida per fare in modo che venga fatta nel migliore dei modi possibile?

I pro delle lezioni all’aperto

Gli studi che dimostrano la trasmissione airborne del virus – cioè per via aerea – sono ormai numerosi. Nonostante la reticenza iniziale dell’Oms, che continua ancora a creare confusione sulla questione, sembra ormai chiaro anche a loro che gran parte della trasmissione del Sars-Cov-2 negli spazi chiusi non avviene tramite manifestazione sintomatica (tosse o starnuti), ma tramite particelle che resistono nell’ambiente. Un articolo pubblicato su The Lancet il 15 aprile ha riassunto le 10 ragioni per cui non si può ignorare il rischio, e ci sono molti altri articoli (anche più divulgativi, come la dimostrazione grafica pubblicata in autunno su El País) che si potrebbero prendere ad esempio.

La direttrice di ricerca dell’Istituto nazionale francese per la salute e la ricerca medica Isabella Annesi-Maesano – una delle autrici della lettera all’Oms del 4 luglio 2020 dal titolo È ora di affrontare la questione della trasmissione aerea della Covid-19 – aveva spiegato a Open già a ottobre che parlare di scuole sicure senza parlare di aerazione è praticamente impossibile. Ora la variante B117 (la cosiddetta inglese) ha peggiorato le cose: se si vogliono togliere tutti gli studenti dalla Dad, l’idea di spostarsi in spazi aperti è sicuramente vincente dal punto di vista epidemiologico. Dal punto di vista didattico, però, non è così immediato.

Stare all’aperto «non educa di per sé»

La scuola all’aperto ha una storia più lunga della Dad, ha detto Miozzo. Quindi, lascia intendere, non deve essere difficile riorganizzarsi in corsa per uno scopo così nobile. Ma non è proprio così: «Non si realizza una “scuola all’aperto” semplicemente uscendo dall’edificio», scriveva già a luglio 2020 l’allora direttore dell’Usr dell’Emilia Romagna e attuale capo dipartimento al Ministero Stefano Versari, rivolgendosi con una nota ai dirigenti scolastici e agli assessorati. «Stare all’aperto, di per sé, non educa». Come spiega anche Franco Lorenzoni, maestro e fondatore della casa-laboratorio di Cenci, nonché membro della task force di Patrizio Bianchi per il recupero degli apprendimenti, non basta un’indicazione generica: «La maggior parte degli insegnanti – dice a Open – non saprebbe come fare. Inoltre, esistono ancora molte limitazioni di tipo burocratico».

Possibilità e limiti di una didattica diversa

Un esempio virtuoso è quello della scuola Di Donato a Roma, in zona Piazza Vittorio. In questo periodo di emergenza l’istituto è riuscito a ottenere che la strada davanti all’edificio diventasse un’isola pedonale dove i ragazzi hanno potuto fare lezione durante le settimane di pandemia. Sarebbe bello che ogni scuola avesse uno spazio esterno adiacente dedicato ai bambini – «è una battaglia che porto avanti da un anno», ha detto Lorenzoni – ma non sempre ci sono i permessi o i luoghi adeguati. Allo stesso modo, esistono ancora degli impedimenti burocratici che non permettono agli insegnanti, ad esempio, di portare fuori dall’istituto più di 15 bambini.

C’è poi un problema di formazione. La maggioranza degli insegnanti non saprebbe come comportarsi al di fuori dalle aule: non a caso gli esperimenti di didattica all’aperto sono molto pochi rispetto alla quantità di classi attive. «Io ho fondato la casa-laboratorio perché sono convinto che fare scuola fuori dalle classi sia un’occasione ricchissima», spiega Lorenzoni. «Ma c’è bisogno di fare formazione, non basta dire “uscite”».

I bandi del Ministero previsti per l’estate

Proprio per sensibilizzare sull’argomento il maggior numero di scuole possibile, la task force ha proposto al Ministero (che ha accettato) di far partire dei bandi che incentivino la collaborazione tra scuole e associazioni del terzo settore, teatri e cinema – iniziativa che risolverebbe anche il problema degli insegnanti che non vorrebbero lavorare anche d’estate. «Mi piacerebbe tantissimo, ad esempio, che i teatri una volta riaperti potessero dedicare una parte delle loro attività ai bambini», ha sottolineato Lorenzoni. «La scuola ha l’occasione di ripensare la sua didattica. Speriamo sia l’estate giusta per farlo».

Immagine di copertina: Ansa/ EPA | Mario Cruz

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