Francesco De Carlo: «La satira offende i più deboli? Se andiamo avanti così, non ci restano che le gare di rutti» – L’intervista

Esistono limiti per la comicità? Dopo l’auto-censura di Michela Giraud, l’abbiamo chiesto al comico noto anche per aver portato il suo talento a Londra

Se la battuta non ha contesto, facile finire preda delle polemiche sui social. Può accadere anche su Twitter, dove tra l’altro hai un numero limitato di caratteri entro cui spiegare quello che stai dicendo. L’ultima a cadere nella trappola è stata Michela Giraud con una battuta su Demi Lovato e il suo coming out. Quindi mettiamola così: i social network non sono esattamente «il palco che un comico dovrebbe calcare». Francesco De Carlo, comico, secondo stand up comedian italiano ad aver ottenuto un posto nel catalogo di Netflix insieme ad altri monologhisti di tutto il mondo, sta ultimando i testi per il nuovo tour estivo che partirà il 7 giugno. Secondo lui, che ha passato una parte della vita a far ridere i londinesi, «in Italia non abbiamo coscienza per ‘ste cose».


Francesco, lo pensi anche alla luce di quello che è accaduto alla collega Michela Giraud?


«Se Michela avesse fatto quella battuta – davvero blanda – in un suo spettacolo non sarebbe successo niente. Su una piattaforma come Twitter danno più importanza alle singole parole che alla freddura stessa, senza peraltro capirne il senso. E poi diciamolo: mettere in discussione il punto di vista di Michela su una cosa così è proprio stupido».

E perché accade, secondo te?

«Perché possa esistere una comicità scorretta, la comunicazione mainstream dovrebbe essere corretta, cosicché un comico nel suo spettacolo possa dire le cose che altrove non si possono dire. Ma se in prima serata, nei talk show politici o in alcuni titoli di giornale si usano parole o concetti vietati, io nei miei spettacoli di che parlo?».

Risultato?

«Che abbiamo la sconfitta del contesto. E dico a Michela di non preoccuparsi perché tanto poi a ‘sta gente je passa».

I comici hanno un’importanza sociale?

«L’avevamo, ma ne avremo sempre meno».

Cioè?

«Per questa situazione che si sta creando, per cui per paura di offendere qualcuno, di pestare una merda, non rischiamo più. E col tempo non ci sarà più una coscienza critica, non si metteranno in discussione l’esistente, la morale. Ma se non puoi farlo perché ti senti circondato da moralisti pronti a metterti alla gogna, allora non scrivi più. Invece noi dobbiamo essere orgogliosi di questo, di mettere in dubbio la morale altrui, di sbeffeggiare gli altri».

Qual è il grosso problema, per te?

«Che tentiamo di compiacere il pubblico, quando invece il pubblico dovrebbe essere messo alla berlina. Se io mi allineo agli altri e non aggiungo niente a quello che è il dibattito esistente, allora che lavoro a fare? Per me è un peso sulla coscienza, una sconfitta».

E invece?

«Dentro uno spettacolo comico uno può e deve dire quello che gli passa per la testa».

Come eri visto quando facevi stand up comedy a Londra?

«Lì c’è grande libertà. Recitavo un pezzo dove a un certo punto dicevo: “Siamo sempre a metà tra cuore e cervello. Se hai tanto cervello però avrai poco cuore. Se avrai molto cuore avrai poco cervello. Pensate a Steve Jobs: grandissimo cervello ma non un uomo di cuore. Invece Gesù Cristo era un uomo buonissimo ma, secondo il mio ragionamento, un ritardato”».

E…?

«Dall’organizzazione mi avevano fatto osservazione per i contenuti, prima che andassi in scena: “Guarda Francesco, questa battuta non puoi farla così”, e io: “Scusate, ma è per Gesù?”. Loro: “No, per la parola ritardato”. La cosa mi fa molto ridere perché la stessa battuta in Italia non viene apprezzata per il riferimento a Gesù Cristo. Lì difendono le categorie sociali, qui difendiamo un uomo che, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere una figura di pura invenzione».

Come sarà il futuro dei comici?

«La comicità di massa sarà sempre più volgare: tipo gare di rutti al Festival di Sanremo. Per le nicchie rimarrà solo chi non ha più niente da dire per paura di offendere qualcuno».

Un disastro per voi.

«Ho paura che tutte queste battaglie per cui si fanno facili moralismi legati a una battuta vengano combattute perché siamo tutti figli di papà e ci possiamo permettere battaglie borghesi. Secondo me si comincia a combattere troppo facilmente per i diritti civili».

Spiegati meglio…

«La manina con su scritto “Ddl Zan” postata su Instagram mi sembra necessaria, ma facile. Una cosa che possiamo permetterci di fare perché non costa impegno. Quello che trovo difficile è mettere in discussione il sistema intero, combattere attivamente. Qualcuno lo ha mai fatto per gli operai? Per dire. Non mi pare. Come dico in un mio monologo: “Mi auguro un giorno che ci sia tra queste nuove voci qualcuno che abbia un asterisco in testa e le pezze al culo”».

Dimmi la verità: è un bel periodo per essere un comico. Ogni giorno uno spunto diverso.

«Soprattutto perché quando la mattina qualcuno si alza e dice che quella cosa non si può dire, allora è il momento di dirla».

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