Stallo Ue sull’immigrazione: la strategia dei Paesi membri è ancora lo scaricabarile. Draghi farà la differenza?

Fumata nera dal consiglio dei ministri dell’Interno. In attesa del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno l’unica cosa su cui c’è un consenso generale è l’esternalizzazione della frontiera europea

Nella riunione di oggi i 27 ministri dell’Interno dell’Unione europea hanno discusso dei dossier migratori, iniziando a preparare il terreno per quello che sarà uno dei principali argomenti del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno, come richiesto dal premier Mario Draghi e dal presidente francese Emmanuel Macron. La presidenza portoghese dell’Ue ha preparato un rapporto sullo stato di avanzamento della riforma migratoria, ma a quanto pare non ci sono grandi sviluppi. Per quel che riguarda Eurodac, il database europeo delle impronte digitali per coloro che richiedono asilo politico o vengono fermati mentre varcano irregolarmente una frontiera esterna, la presidenza «ha deciso di non proseguire ulteriori discussioni». Sulla riforma dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) la presidenza dichiara di stare ancora cercando la via da seguire. Sul punto ancora più controverso della solidarietà nell’accoglienza (ovvero la redistribuzione dei migranti), la presidenza «sta facendo il punto sulle diverse posizioni». Con giugno però si chiudono i sei mesi della presidenza del Portogallo, da luglio fino a dicembre la presidenza passa alla Slovenia.


Frontex, la guardia di frontiera e costiera dell’Ue, ha preparato per i ministri una nota interna con i dati aggiornati sui flussi. A causa della pandemia e dei lockdown, nel 2020 gli attraversamenti illegali della frontiera esterna e gli spostamenti da un paese all’altro – i cosiddetti movimenti secondari – si erano ridotti drasticamente. Da gennaio a maggio 2021 però il numero degli ingressi irregolari è tornato a crescere, raggiungendo quota 42.700 persone, un aumento di circa il 33% rispetto all’anno precedente. Secondo il rapporto di Frontex, l’aumento del 2021 è dovuto a ingressi più frequenti «sulle rotte del Mediterraneo centrale, dell’Africa occidentale e dei Balcani occidentali».


Al contrario, nella rotta Mediterraneo orientale, quella del confine tra Grecia e Turchia, si registra un ulteriore calo degli ingressi: la metà rispetto al 2020. Questo perché Ankara sta rispettando il patto con l’Ue, impendendo ai migranti di imbarcarsi verso le isole greche. A Bruxelles però sta crescendo la preoccupazione che l’accordo con la Turchia – assistenza finanziaria in cambio del controllo dei flussi – abbia creato un modello perverso per paesi come Marocco, Tunisia, Libia, incentivandoli a cercare guadagni economici e risultati geopolitici minacciando di aprire i flussi di migranti verso l’Europa.

L’immigrazione, l’ossessione dell’Unione europea

Dopo la crisi dei rifugiati del 2015 il dibattito sulla immigrazione nell’Ue è rimasto in una costante fase di stallo, in cui ogni Stato membro cerca di scansare il problema scaricandolo sugli altri. Se a parole si promette di lavorare secondo il principio del burden sharing (condivisione degli oneri), nella pratica si applica quello del burden shifting (scaricare gli oneri). Gli schieramenti sono consolidati: i paesi del Mediterraneo insistono su un sistema obbligatorio per ridistribuire i richiedenti asilo, i paesi del Nord sono preoccupati dei movimenti secondari dei migranti entrati dai paesi del Mediterraneo, i paesi dell’Est come Polonia e Ungheria si oppongono strenuamente a qualsiasi tipo di accoglienza obbligatoria. Il risultato è che i paesi del Nord danno la colpa al veto dei paesi dell’Est per il fatto di non poter esaudire la richiesta dei paesi del Mediterraneo.

Draghi riuscirà a fare la differenza?

Secondo alcuni funzionari di Bruxelles, l’arrivo del premier Draghi potrebbe fare la differenza. L’ex presidente della Bce è noto per il suo pragmatismo, da lui ci si aspetta che riesca a ottenere un accordo – almeno temporaneo – tra un gruppo ristretto di paesi per ridistribuire i migranti che arrivano in Italia. Finora qualcosa si è visto, ma non basta. Lituania e Lussemburgo e Irlanda hanno accettato di accogliere migranti arrivati in Italia, ma in totale si tratta di neanche 30 persone.  Durante il vertice la ministra italiana Luciana Lamorgese ha ribadito l’importanza degli accordi di partenariato strategico con i paesi di origine e transito dei flussi, affermando che per i paesi mediterranei riuniti nel gruppo Med5 (Grecia, Spagna, Cipro, Malta e Italia) è fondamentale che «la trattativa sul nuovo patto per l’immigrazione e asilo segua, su un doppio binario, i temi legati alla responsabilità e quelli concernenti la solidarietà tra Stati membri con la previsione di un equo meccanismo di redistribuzione dei migranti in Europa». 

Ma prima di ogni redistribuzione va stabilito chi è un migrante economico e chi un rifugiato. Se esiste un consenso generale sull’idea di redistribuire i rifugiati, non c’è per fare lo stesso con i migranti economici. Inoltre, la procedura per decidere lo status di un migrante richiede tempo, e dove restano i migranti in attesa dell’esito della loro domanda di asilo? Finora la risposta è nel paese di primo approdo, quindi nei paesi mediterranei. E si torna al punto di partenza.

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