Dalla Turchia a Ceuta, l’uso politico dei migranti e i limiti della «fortezza» europea

Per evitare che drammi come quello di Ceuta si ripetano, l’Ue deve trovare un sistema che non sia così vulnerabile a ricatti

Le scene di migliaia di migranti che arrivano nell’enclave di Ceuta, in Nord Africa, con i brutali respingimenti dei militari spagnoli e l’immagine del bambino salvato dal mare sono un promemoria visivo dell’impotenza dell’Unione europea, e dell’incapacità delle istituzioni di Bruxelles e dei governi nazionali di affrontare la questione con una strategia coerente ed efficace nel lungo periodo. Ceuta mostra tutti i limiti del concetto di esternalizzare il controllo delle frontiere e dell’immigrazione, fatto di accordi discutibili con paesi come la Turchia e il Marocco, o la Tunisia e il semi-governo della Libia con la sua guardia costiera che spara ai pescherecci italiani


Il passaggio per Ceuta è chiuso da una recinzione alta sei metri e protetta dalla polizia di frontiera marocchina, ma secondo El Pais negli ultimi giorni quella recinzione è sparita, e i poliziotti si sono fatti da parte per lasciar passare i migranti – alcuni dei quali fatti uscire apposta dai centri di detenzione – che hanno cercato di raggiungere il territorio spagnolo aggirando la frontiera terrestre passando per il mare. Secondo diversi analisti, la mossa di Rabat è stata una rappresaglia dopo la scoperta della decisione di Madrid di offrire cure mediche al 71enne Brahim Ghali, ex leader del Fronte Polisario accolto in Spagna per essere curato dal Covid-19. La storia ha radici lontane, i miliziani del Fronte hanno combattuto contro il Marocco per l’indipendenza del Sahara occidentale, territorio rivendicato da Rabat ma non riconosciuto come tale da Madrid, ex potenza coloniale del territorio conteso. 


La militarizzazione dell’immigrazione

Usare i rifugiati e gli immigrati per ottenere qualcosa non è una novità nelle relazioni internazionali. Negli ultimi anni il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha più volte strumentalizzato e “militarizzato” il flusso di rifugiati come se fosse un’arma per ottenere denaro e concessioni dall’Ue, fino ad usarlo come strumento di rappresaglia violando gli accordi. A febbraio dell’anno scorso, Erdogan ha prima ordinato alla sua guardia costiera di fare un passo indietro, poi dichiarato pubblicamente che il passaggio per l’Europa era aperto e lasciato che i rifugiati in fuga dalla guerra civile siriana prendessero il mare verso le isole della Grecia. Erdogan in quell’occasione agì per “punire” l’Ue dopo la morte di 22 soldati turchi in Siria, in operazione militari per cui la Turchia lamentava l’assenza di sostegno dei paesi europei, che anzi, condannavano l’azione di Ankara. 

Prima di essere deposto con la violenza nel 2011, anche il libico Muammar Gheddafi ha sfruttato per anni le paure italiane ed europee, ottenendo da Roma generosi accordi economici e concessioni politiche. In questa realtà dove i migranti vengono usati come arma di ricatto e merce da negoziato contro governi europei terrorizzati dai flussi migratori, l’etica e la morale vengono messe alla prova, e i leader cedono ai ricatti senza neanche ottenere il risultato di risolvere davvero la questione.

L’Europa continua sulla stessa strada

Quanto avvenuto in passato continua a ripetersi, ma tutti i quadranti del Mediterraneo (occidentale, centrale, orientale) rimangono fonte di tensione e preoccupazione. Nel frattempo, il sistema di asilo dell’Ue e il patto tra Bruxelles e Ankara stanno per essere rinnovati, mentre la ministra dell’Interno italiana Luciana Lamorgese e la commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson sono andate in missione in Tunisia per fare altri accordi di questo tipo. La missione congiunta Ue-Italia in Tunisia ha gettato le basi per un accordo di partenariato strategico finalizzato al controllo dei flussi migratori (anche legali), e allo sviluppo delle attività economiche in Tunisia. La ministra dell’Interno ha dichiarato che ci sarà più flessibilità sui rimpatri e una linea diretta Roma-Tunisi per segnalare tempestivamente la partenza delle barche di migranti. Inoltre, l’Italia continuerà a supportare le motovedette della guardia costiera tunisina. Lamorgese ha infine ringraziato Tunisi per le operazioni che in questi giorni hanno fermato oltre mille migranti.

I limiti della dottrina della fortezza europea

Nonostante si presenti al mondo come un luogo di accoglienza e inclusione, l’Europa per i migranti resta una fortezza da espugnare, che porta avanti politiche di chiusura che rendono difficile e ridotto l’accesso legale di migranti economici e rifugiati. Il termine “Fortezza Europa” risale alla propaganda militare della Germania nazista, ma dopo le crisi dei rifugiati seguite alla guerra civile siriana iniziata nel 2011, viene usato per descrivere in modo critico questo atteggiamento delle autorità europee nei confronti dell’immigrazione. Pur rispondendo e riconoscendo come corrette le critiche, però, l’Ue e i governi nazionali continuano a prendere decisioni che rispondono a questo principio. L’idea della fortezza europea forse può placare per qualche tempo la paura dei flussi migratori, ma come dimostrano le immagini arrivate da Ceuta sono soluzioni temporanee che si pagano a caro prezzo: umano, economico e politico. Per evitare che i drammi si ripetano, l’Ue dovrebbe trovare un sistema coerente con i suoi valori che non sia così incline e vulnerabile al ricatto.

Ciò significa anche farsi carico delle proprie responsabilità nell’accogliere e redistribuire i rifugiati, e portare avanti una politica più coraggiosa di cooperazione allo sviluppo. Durante la conferenza stampa di ieri, alla domanda diretta di El Pais, il premier Mario Draghi ha detto che serve con urgenza un accordo europeo e che gli strumenti per controllare l’immigrazione non mancano, ma devono essere «impiegati con equilibrio, efficacia e con umanità». Draghi porterà l’argomento nel Consiglio europeo della settimana prossima, che per ora non è stato ancora messo in agenda.

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