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Dopo il G7, Biden prova a ricostruire i legami della Nato. Oggi l’incontro con Erdogan

14 Giugno 2021 - 11:59 Federico Bosco
Gli alleati concorderanno una dichiarazione che sottolinei un terreno comune per garantire il loro ritiro dall'Afghanistan, risposte congiunte ai cyber-attacchi e il contrasto all’ascesa della Cina

Dopo il vertice del G7 e la visita alla Regina Elisabetta II nella residenza di Windsor, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è atterrato a Bruxelles per il summit della Nato di oggi e il vertice con l’Unione europea di domani, prima di partire per Ginevra per incontrare (mercoledì) il presidente russo Vladimir Putin. Il programma prevede la riunione dei 30 leader dei paesi dell’Alleanza atlantica, a margine dei lavori ci sarà un bilaterale di Biden con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Al centro del vertice le relazioni con la Russia e le preoccupazioni per i crescenti legami strategici tra Mosca e Pechino, oltre a una riflessione sul futuro dell’alleanza. Anche in questo caso infatti è la Cina il dossier principale degli incontri di Biden. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha ricordato che «Pechino ha il secondo budget per la difesa più grande del mondo, la più grande marina militare, e sta investendo massicciamente negli armamenti», ma soprattutto «la Cina non condivide i nostri valori. Lo vediamo nel modo in cui reprime le proteste democratiche a Hong Kong, nel modo in cui opprime le minoranze come quella degli uiguri». 

Secondo il segretario generale «è importante per la Nato sviluppare e rafforzare la nostra politica, quando si tratta della Cina». Tuttavia, nella conferenza stampa pre-vertice Stoltenberg ha sottolineato che «non stiamo entrando in una nuova Guerra Fredda e la Cina non è il nostro avversario, non il nostro nemico». Il vertice dovrebbe adottare una serie di documenti: un tradizionale comunicato congiunto, questa volta di circa 40 pagine, più un programma di riforma della Nato per il 2030. I leader accetteranno di riscrivere il «concetto strategico» fondamentale di un’alleanza militare che ormai risale a 72 anni anni fa, per affrontare un mondo in cui gli attacchi informatici, l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie rappresentano nuove minacce. La politica di cybersicurezza verrà completamente rivista. In un documento separato, sarà concordato come rafforzare la resilienza della Nato di fronte alle minacce emergenti e un nuovo piano d’azione per la lotta al cambiamento climatico.

L’abbraccio strategico tra Russia e Cina

«La crescente cooperazione politica e militare tra Russia e Cina pone nuovi pericoli per la Nato e rappresentano una minaccia al multilateralismo», ha affermato Stoltenberg, motivo per cui l’alleanza «deve adattarsi a un ambiente di sicurezza globale sempre più competitivo». Nonostante il tentativo di moderare i termini, sulla Cina verranno messe nero su bianco parole forti, più di quanto non sia accaduto prima, con i leader pronti a sottolineare «la crescente divergenza tra le politiche coercitive di Pechino e i nostri valori». Washington spinge per una formulazione più forte e inequivocabile, gli europei rimangono più riluttanti e preferiscono etichettare la Cina come «sfida» e la Russia come «minaccia», evitando così di mettere Mosca e Pechino sullo stesso piano. La divisione però attraversa anche i paesi europei, con 14 paesi ex sovietici e balcanici più nettamente schierati con Washington, mentre i paesi dell’ex Europa occidentale cercano di mantenere una linea di mediazione, almeno all’apparenza, per non causare reazioni eccessive. 

Sulla Russia, i leader sono pronti a riconoscere che Mosca «oltre alle sue attività militari, ha anche dimostrato uno schema di azioni ibride contro membri e partner dell’alleanza, anche attraverso attacchi per procura». In questo caso il riferimento è anche alle attività «maligne» degli hacker russi, oltre che ad azioni come l’avvelenamento degli Skripal nel Regno Unito. «Le nostre relazioni con la Russia sono al punto più basso dalla fine della Guerra fredda, a causa delle azioni aggressive della Russia», ha spiegato Stoltenberg, riaffermando che la Nato non abbandonerà la via del dialogo. «Il dialogo non è segno di debolezza, ma di forza», ha sottolineato nella conferenza stampa di stamattina al quartier generale.

La variante ottomana

Dopo che la Turchia ha ottenuto il sistema missilistico russo S-400 e il comportamento provocatorio della marina turca nel Mediterraneo orientale contro Grecia e Cipro e la posizione non allineata di Ankara, la fiducia dei partner della Nato in Erdogan è gravemente danneggiata rispetto al passato, nonostante la Turchia resti un bastione geopolitico irrinunciabile per l’alleanza. Biden avrà un incontro riservato con il presidente turco, con il quale cercherà di rimettere in ordine i rapporti. È probabile che la dichiarazione congiunta della Nato includa un riferimento a una maggiore responsabilità tra alleati quando si tratta di risolvere conflitti interni (come quello greco-turco), ma senza specificare se in caso di minaccia interna o esterna.

Nel Mediterraneo orientale la questione è particolarmente complessa perché Grecia e Turchia sono membri della Nato, mentre Cipro è un paese terzo. Atene e Nicosia però sono entrambi Stati membri dell’Ue. Un ulteriore paragrafo sembra impostato per invitare le forze straniere a ritirarsi dalla Libia, cosa che solleva le obiezioni di Ankara, che invece ha tutte le intenzioni di continuare a mantenere truppe regolari e milizie affiliate nel paese. L’argomento sarà oggetto di discussioni, con la Francia che vuole i turchi fuori dalla Libia mentre gli USA mantengono una posizione di ambiguità, apparentemente per non irritare la Turchia.

Una Nato ancora più grande?

I leader della Nato sottolineeranno il desiderio di approfondire il dialogo e la cooperazione con i partner dell’alleanza, compresa l’Ue e i paesi nell’Indo-Pacifico (Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud). Sarà inoltre riaffermato l’impegno per la politica delle porte aperte, affermando che il percorso verso l’adesione alla Nato «rimane aperto a tutte le democrazie europee che condividono i nostri valori e soddisfano le responsabilità e gli obblighi necessari». 

Il ritiro dall’Afghanistan

Mentre la Nato guarda al futuro, si sta mettendo alle spalle uno dei capitoli più significativi della sua storia post-sovietica ponendo fine a 20 anni di coinvolgimento militare in Afghanistan. Gli alleati stanno mettendo insieme piani per cercare di evitare un collasso delle forze afgane dopo l’abbandono del fronte, cercando di assicurarsi la protezione e la funzionalità delle ambasciate occidentali nel paese. Nell’incontro con Erdogan, Biden discuterà un’offerta turca per mantenere truppe all’aeroporto di Kabul. Ankara si è offerta di assicurarsi il controllo dell’aeroporto, ma ha bisogno del sostegno USA. Nella dichiarazione congiunta verrà scritto che «il ritiro non significa porre fine alle nostre relazioni con l’Afghanistan» e che sarà aperto un nuovo capitolo, che includerà ancora il sostegno finanziario e l’addestramento delle forze di sicurezza. Ad avvelenare la discussione però è in modo in cui Biden ha dato annuncio del ritiro entro l’11 settembre 2021, in modo improvviso e senza consultarsi a sufficienza con gli alleati prima dell’annuncio. In Afghanistan la Nato rischia un fallimento storico.

Cambiamento climatico

I leader dovrebbero fissare l’ambizione della Nato di adattarsi all’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza, concordare di ridurre i gas serra dalle attività e dalle installazioni militari, in linea con gli impegni previsti dall’Accordo di Parigi. Tuttavia, al di là delle dichiarazioni di rito sono tutti scettici, non è la difesa un settore dove ci si pone dei limiti per tenere basso l’impatto ambientale. L’obiettivo realistico è modernizzazione gli eserciti di alcuni alleati che hanno ancora troppe attrezzature inquinanti risalenti all’era sovietica, ma per farlo bisognerà stanziare fondi aggiuntivi.

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