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Green pass obbligatorio ma non troppo: il primo giorno nei bar di Milano, tra (pochi) furbetti e il buco nei controlli sui documenti

06 Agosto 2021 - 20:32 Valerio Berra
Siamo stati in diversi locali della città, dal centro della periferia. La maggior parte ci ha chiesto la certificazione verde. Il vero problema? L'assenza di verifiche dell'identità

«Ok, il certificato è valido. Questo è il tuo nome giusto?». Mattina del 6 agosto, il giorno di esordio del Green pass nei bar e nei ristoranti. È appena entrata in vigore la norma prevista dal decreto firmato dal Governo Draghi che prevede l’obbligo di Green pass per chi consuma dentro i locali, seduto ai tavoli. Basta una dose di vaccino, un tampone negativo nelle ultime 48 ore o il certificato di guarigione dal Coronavirus. É il Green pass light. Quello che già era necessario per concerti e matrimoni. In caso di violazione le multe vanno dai 400 ai 1.000 euro. Sia per l’esercente che per il cliente. Noi di Open abbiamo provato a entrare in qualche bar di Milano per capire come è stato l’esordio. Abbiamo attraversato diversi quartieri, dal centro alla periferia, dalle zone più frequentate a quelle residenziali, passando per le università. Bar diversi, gestioni diverse e anche ordinazioni diverse. Tutte consumate dentro il locale dove ora sarebbe necessario chiedere e mostrare il Green pass.

App sullo smartphone e controllo immediato

«Mi scusi il disturbo. Le devo chiedere il Green pass. Queste sono le nuove regole». Il primo bar in cui siamo stati è in Porta Venezia. Quartiere centrale, molto frequentato anche in una mattinata calda e soleggiata di inizio agosto. A pochi metri c’è un gazebo per i tamponi rapidi, con una fila di almeno venti persone. Siamo tra i primi clienti della giornata e tutto procede come da programma. Arriviamo. Ordiniamo un caffè e una brioche e chiediamo anche di sederci all’interno, non sui tavolini che occupano parte del marciapiede. Subito ci chiedono il Green pass. La scansione avviene con l’app Verifica C19. Tutto regolare.

È qui però che si capisce il problema più grande di questa procedura. Dopo che Verifica C19 ha letto il Green pass ci viene chiesto: «Questo è il tuo nome vero?». Nel nostro caso corrisponde ma un altro cliente interviene: «Quindi uno può presentare il Green pass anche di un altra persona. Altrimenti dovreste chiedere il documento a tutti». In effetti è proprio questo il punto. La stessa scena si ripete davanti a un fast food di una catena americana. Ci viene controllata la temperatura, poi viene controllato il certificato e alla fine ci chiedono: «Quindi il nome che c’è qui è il tuo?».

Scene simili anche anche in altri locali di altri quartieri. Ma non in tutti. Siamo entrati in una decina di bar, in due non ci hanno chiesto il Green pass. Uno è dietro a piazza Cinque Giornate. Anche qui siamo vicini al centro, giusto qualche metro fuori dalla Area C. È ora di pranzo, ci sediamo per un toast. Ci apparecchiano il tavolo. Nessuno ci chiede nulla. Siamo noi a farlo: «Il Green pass serve?». La risposta non è esattamente entusiasta: «Ehi, portatemi qui il tablet con l’applicazione». Controllo. Toast. Questo bar compariva anche nella mappa con i locali che non chiedono il Green pass che sta circolando su alcuni canali Telegram. Ne abbiamo parlato in questo articolo. La mappa è compilata da utenti anonimi e quindi la presenza di un locale non prevede il fatto che i proprietari abbiamo dato il loro consenso.

Le multe per i mancati controlli

La volta dopo succede a Niguarda, quartiere residenziale nella zona nord di Milano. Come Affori o Lambrate, anche questo è nato come comune autonomo ed è stato incorporato a Milano solo nell’inizio del ‘900. Per questo ha ancora un suo centro. Siamo stati in uno dei bar più frequentati. Fuori c’erano cartelli appena messi che avvertivano dell’obbligo di Green pass. Ci siamo seduti per bere una bibita, mentre in tv davano la finale della 4×100. Nessuno ci ha chiesto niente. Nè al momento dell’acquisto e né quando ci siamo fermati dentro.

Alla fine del nostro micro tour emerge quindi una questione che è rimasta sospesa. Se durante un controllo si scopre che un cliente ha esibito un Green pass falso, a chi viene multa? Al momento le indicazioni del decreto spostano la responsabilità del controllo sul gestore: «I titolari o i gestori dei servizi e delle attività – si legge – sono tenuti a verificare che l’accesso ai predetti servizi avvenga nel rispetto delle prescrizioni». Particolare non da poco: se viene reiterata una irregolarità, il locale rischia anche di chiudere temporaneamente.

Foto di copertina: ANSA/JESSICA PASQUALON

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