Voli proibiti, bambini separati dai genitori, niente controlli: il disastro dell’evacuazione degli Usa dall’Afghanistan

Per il presidente americano Joe Biden è stata «uno straordinario successo». Per il New York Times, invece, si è trattato di un fallimento. I documenti

Per il presidente americano Joe Biden le operazioni di evacuazione in Afghanistan sono state un successo. Ma è andata davvero così? Secondo il New York Times no, tutt’altro. I documenti – cioè report inviati da alti diplomatici e ufficiali militari a Doha, in Qatar – raccontano un’altra verità. Quasi 15 mila rifugiati afgani stipati in hangar e tende nelle basi aeree; 229 bambini non accompagnati, inclusi molti adolescenti che avrebbero maltrattato i più piccoli. Ma anche un gran numero di donne incinte, alcune delle quali necessitavano di cure mediche, oltre a diversi problemi gastrointestinali segnalati tra i rifugiati. Insomma regnava il caos – e anche la tensione – all’interno di quelli che sarebbero dovuti essere rifugi temporanei ma che, in alcuni casi, si trasformavano in soggiorni prolungati con date di uscita imprevedibili. Nell’esercito, poi, c’erano troppi indisciplinati, compresi gli ex militari afgani. Ma ecco, nello specifico, cosa non ha funzionato.


Il caos più totale

L’idea di Biden forse era un’altra: voleva un’evacuazione ordinata, resasi impossibile con la presa di Kabul da parte dei talebani in tempi record. Una “conquista” che nessuno poteva mai aspettarsi in così poco tempo, un’escalation che ha mandato in tilt l’amministrazione Biden con tanto di rifugiati che hanno provato a salire sugli aerei americani – qualcuno è anche morto – oltre a centinaia di bambini separati dai loro genitori. I controlli di sicurezza sui rifugiati, invece, sono stati fatti in ore o al massimo giorni, anziché in mesi o anni. Tutto di fretta. Quindi altro che evacuazione ordinata. Le e-mail e i documenti del Dipartimento di Stato dei servizi sanitari e umani, dei dipartimenti della sicurezza interna e della difesa, dicono tutt’altro nei report quotidiani inviati via mail al dipartimento di Stato.


A questo si aggiunga l’arrivo a Doha di aerei charter privati, come uno arrivato dalla quarta città più grande dell’Afghanistan, senza preavviso e con centinaia di afgani a bordo. Peccato che non ci fosse nessuna chiarezza sul fatto che i passeggeri avessero bisogno di visti speciali. «Ora abbiamo 300 persone a Doha che sono fondamentalmente apolidi. La maggior parte non ha documenti», dicono le email dei funzionari di quei giorni. L’aereo, in quel caso, era stato noleggiato da uno studio legale: insomma voli di salvataggio organizzati da privati. Proibiti, insomma. In alcuni casi, poi, i dati degli uomini e delle donne fuggiti dall’Afghanistan sono stati presi in modo incompleto o impreciso, con stato di cittadinanza, visto o dati demografici mancanti. Non è chiaro, inoltre, quale sia il numero totale degli sfollati: Biden parla di 120 mila evacuati. In 40 mila sarebbero già arrivati negli States ma se ne attendono altri 17 mila.

Improvvisazione all’aeroporto di Kabul

I diplomatici, tra l’altro, all’inizio delle operazioni avevano mandato un codice agli afgani autorizzati all’evacuazione, da mostrare ai cancelli dell’aeroporto di Kabul. Ma quel codice, ampiamente condiviso nelle ore successive, era finito poi sui cellulari di tutti. I funzionari non sapevano più chi avrebbero dovuto far entrare. Ogni giorno era «uno sforzo di improvvisazione». A questo si aggiunga il nodo accoglienza: molti degli afgani intanto sono stati accolti nella base militare di Doha. Lì, però, le condizioni di vita non sarebbero dignitose, come racconta Zainullah Zaki, che ha lavorato a Kabul come consulente dell’esercito americano e che adesso si trova in Qatar con la sua famiglia. Dormono sul pavimento senza coperte o cuscini.

I controlli anti-Covid saltati

Infine, dal punto di vista sanitario si è rischiato tantissimo. L’aeroporto di Dulles sarebbe dovuto diventare il punto di ingresso principale: i funzionari avevano creato uno spazio per testare gli sfollati per il Covid e per mettere in quarantena, per 14 giorni, i positivi. Ma il sistema si è arenato quando il numero di rifugiati è aumentato a dismisura. Si tratta di uomini, donne e bambini, fuggiti dai talebani, che negli States proveranno a rifarsi una vita e a vivere con dignità. Bisognerà capire, però, come e per quanto tempo e soprattutto come gli Usa intenderanno gestire questa situazione d’emergenza.

Foto in copertina: EPA/MICHAEL REYNOLDS|ANSA

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