Patrick Zaki resta in carcere. L’appello ai giudici: «Liberatemi, sono in cella da troppo tempo. È illegale»

Conclusa la prima udienza: il processo è stato aggiornato al 28 settembre. Amnesty: «Temiamo il peggio»

Si è tenuta oggi a Mansura, in Egitto, la prima udienza del processo a Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna accusato di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie e propaganda al terrorismo con il rischio di una condanna fino a 5 anni, di cui due già scontati in cella. Nel tribunale della città sul delta del Nilo è cominciata quella che in molti temono essere la prima di una lunga serie di convocazioni in aula a un anno e mezzo di reclusione trascorsa in diversi istituti penitenziari del Paese. In aula c’era anche il padre del ricercatore, George, arrivato in città insieme alla sorella del giovane, Marise, e ad altri quattro amici dell’attivista. All’interno dell’aula circa 60 persone hanno ascoltato le prime comunicazioni dei giudici ai legali. L’udienza è durata poco più di cinque minuti. Zaki, ammanettato nella gabbia degli imputati, ha preso la parola lamentando di essere stato detenuto oltre il periodo legalmente ammesso per i reati minori di cui è accusato adesso. Anche la sua legale, Hoda Nasrallah, ha sostenuto la stessa tesi chiedendone il rilascio o almeno l’accesso al dossier che lo riguarda. Il processo è stato aggiornato al 28 settembre. Zaki resterà in carcere almeno fino a quella data.


L’allarme di Amnesty

Secondo Riccardo Noury, portavoce di Amnesty, il rinvio a giudizio di Zaki «è stato uno sviluppo improvviso. In meno di 24 ore si è posta fine alla detenzione preventiva, per trasferire il tutto dal Cairo a Mansura. Non sappiamo se ce ne saranno altre, se sarà chiesto un rinvio da parte della difesa: è tutto abbastanza misterioso. Quel che è certo è che è un tribunale di emergenza che processa Patrick per diffusione di notizie false per un articolo da lui scritto nel 2019 in cui prendeva le difese della minoranza religiosa cristiano-copta, a cui appartiene la sua famiglia, perseguitata, discriminata, sottoposta ad attacchi e violenze». Questo processo, dice Noury, «non prevede un appello: se Patrick verrà condannato non ci sarà un ricorso ma solo la possibilità di una richiesta di grazia al presidente al-Sisi. Noi temiamo il peggio, cioè una condanna, ma speriamo il meglio, perché un giudice minimamente imparziale ed equo assolverebbe immediatamente Patrick».


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