Il nuovo studio dei sostenitori dell’Ivermectina e delle cure domiciliari è stato ritrattato

Promettevano di abbassare la mortalità oltre il 75%. Ma i loro dati erano sbagliati

Il Journal of Intensive Care Medicine ha recentemente ritrattato un articolo, firmato da diversi promotori dell’ivermectina, per la cura domiciliare contro la Covid-19. Lo studio si intitolava  Clinical and Scientific Rationale for the “MATH+” Hospital Treatment Protocol for COVID-19. Oggi è visibile la nota della rivista dove spiega le ragioni della ritrattazione. Ma è ancora possibile leggere il paper integrale col timbro «retracted» in bella vista.


Eppure proprio l’ivermectina sembra la grande assente, nello studio non viene mai menzionata. I ricercatori, usando dati rivelatisi inventati, sostenevano i benefici di diversi altri trattamenti che non hanno mai mostrato efficacia e sicurezza contro la Covid: si parla di acido ascorbico (vitamina C); vitamina D; eparina; plasma, eccetera. Secondo gli autori del portale Retraction Watch, che hanno analizzato le ragioni della ritrattazione, i ricercatori dopo la pubblicazione avvenuta nel dicembre 2020, stavano pensando effettivamente di includere nel protocollo anche l’ivermectina. Qualcosa però è andato storto.


Chi sono gli autori dello studio

Tra i principali firmatari del paper troviamo due figure già note nell’ambito della controversa ricerca a favore dei trattamenti domicliari precoci per la Covid-19. Il primo è Pierre Kory che compare anche tra gli autori degli studi raccolti in una meta-analisi – citata dalla la Dott.ssa Chifari Negri in una audizione al Senato, promossa dal movimento per le cure domiciliari IppocrateOrg – di cui avevamo trattato in un precedente articolo, riscontrando diversi problemi di metodo. 

Il secondo è Paul Marik, il principale promotore dell’ivermectina, già protagonista di una ritrattazione nel marzo scorso da parte della rivista Frontiers in Pharmacology, come riporta Catherine Offord in un articolo per The Scientist. Kory e Marik sono anche le principali anime del gruppo Front-Line COVID-19 Critical Care Alliance (FCCC), che sostiene il protocollo alternativo per le cure domiciliari anti-Covid promosso nel paper recentemente ritrattato.

Cosa volevano dimostrare gli autori

Lo studio è apparso online nel sito della rivista il 15 dicembre 2020. I ricercatori avevano utilizzato un protocollo denominato «MATH+», col quale calcolarono che i pazienti sottoposti ad esso avevano oltre il 75% di probabilità in meno di morire per Covid. Inizialmente l’ivermectina non c’era, ma i ricercatori prevedevano di inclderla in un secondo momento. 

Secondo quanto riportavano i ricercatori nel paper, i dati erano stati raccolti mediante la FCCC, comprensivi di rapporti clinici, radiografici e patologici, provenienti da due ospedali americani. Viene presentato così il loro protocollo:

«Questo manoscritto esamina la logica scientifica e clinica alla base di MATHþ sulla base di dati in vitro, preclinici e clinici pubblicati a sostegno di ciascun medicinale, con un’enfasi speciale sugli studi a sostegno del loro uso nel trattamento di pazienti con sindromi virali e nello specifico per COVID- 19 – continuano i ricercatori – La revisione si conclude con un confronto dei dati di mortalità pubblicati internazionali con gli esiti del centro MATHþ. […] La mortalità ospedaliera media in questi 2 centri in oltre 300 pazienti trattati è del 5,1%, che rappresenta una riduzione del rischio assoluto di mortalità superiore al 75% rispetto alla mortalità ospedaliera media pubblicata del 22,9% tra i pazienti COVID-19».

Le ragioni della ritrattazione

Uno degli ospedali da cui sono stati raccolti i dati della ricerca è il Sentara Norfolk General Hospital, situato a Norfolk in Virginia, il quale ha contattato la rivista sollevando «preoccupazioni sull’accuratezza dei tati sulla mortalità ospedaliera». Insomma, c’era qualcosa che non andava in quel 75% di ridotta mortalità. 

«Il tasso di mortalità tra i 191 pazienti del Sentara Norfolk General Hospital al 20 luglio 2020 è stato segnalato come 6,1%, rispetto ai tassi di mortalità riportati in letteratura che vanno dal 15,6% al 32% – afferma il portavoce del Sentara – Abbiamo condotto un’attenta revisione dei nostri dati per i pazienti con COVID-19 dal 22 marzo 2020 al 20 luglio 2020, che mostra che tra i 191 pazienti a cui si fa riferimento nella tabella 2 il tasso di mortalità era del 10,5%, anziché del 6,1%. . Inoltre, di questi 191 pazienti, solo 73 pazienti (38,2%) hanno ricevuto almeno 1 delle 4 terapie MATH+ e il loro tasso di mortalità è stato del 24,7%. Solo 25 dei 191 pazienti (13,1%) hanno ricevuto tutte e 4 le terapie MATH+ e il loro tasso di mortalità è stato del 28%».

A seguito di tale segnalazione il Journal of Intensive Care Medicine ha comprensibilmente ritrattato lo studio. Questo episodio, come altri da noi trattati in precedenza (per cominciare qui, qui e qui) è la dimostrazione del fatto che il sistema di controllo delle pubblicazioni scientifiche, per quanto non sia sempre immediato, è una garanzia in più che può coprire i limiti della peer-review.

Dopo la pubblicazione di uno studio infatti non è finita; tutti i ricercatori nel Mondo interessati al tema potranno fare le pulci al paper: chiederanno di accedere ai dati grezzi se questi e/o i metodi appaiono controversi; oppure tenteranno di ripetere osservazioni ed esperimenti pubblicando nuovi risultati più accurati. È così che la Comunità scientifica si auto-corregge, permettendo anche a noi di distinguere tra Scienza e pseudo-scienza.

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